Un invito a fare di più per spingere in Sicilia i consumi degli alimenti biologici. Con particolare riferimento a quelli prodotti nell’Isola. Lo ha fatto all’Autorità di Gestione del PSP (Piano Strategico PAC) la Corte dei Conti europea nello scorso mese di luglio, durante il suo audit strategico. Un audit condotto per verificare l’efficacia delle misure finanziate con i fondi europei e messe in campo nell’Isola e alla fine del quale è stato chiesto di individuare qualche correttivo o di introdurre politiche capaci di invertire il trend e di migliorare in Sicilia il rapporto tra produttori bio e consumatori.
Un invito più che giustificato, visto che la Sicilia è la Regione in cui al sostegno del bio, sia per il mantenimento che per la conversione, sono state dedicate copiose risorse comunitarie (solo lo scorso anno per la prima annualità della bando a valere sulla misura SRA29 sono stati erogati circa 70 milioni di euro). Una scelta che ha permesso alla Regione di superare il target europeo del Farm to Fork secondo cui, entro il 2030, almeno il 25% della SAU europea dovrà essere convertita alle produzioni biologiche.
L’invito della Corte dei Conti europea arriva giusto nell’anno in cui, dopo le fiammate dell’Era Covid, i consumi dei prodotti bio segnano il passo, marcando un divario troppo ampio tra l’eccellenza della Sicilia come Regione produttrice e la sua posizione come fanalino di coda per consumo interno.
La Sicilia del bio, infatti, nell’ultimo anno ha fatto segnare un preoccupante -19% nei consumi, a fronte di una più contenuta flessione registrata a livello nazionale che si è fermata al -6%. Ma consumi a parte, l’Isola rimane sempre in cima alla classifica delle Regioni italiane per superficie investita a bio, che nel 2022 ha raggiunto il 28,8% della SAU (fonte rapporto Ismea/Sinab).
Numeri che mettono la Sicilia in sicurezza rispetto al raggiungimento del target europeo, ma non incidono, purtroppo sulle abitudini di consumo dei siciliani. Ciò che preoccupa è, perciò, l’incapacità delle produzioni bio siciliane a sfondare sul mercato regionale. La Corte dei Conti europea ha infatti rilevato come sia possibile trovare i prodotti bio siciliani sia sui mercati nazionali che quelli internazionali. Ma lo stesso non avviene, almeno con la stessa facilità, su quelli regionali. Siamo di fronte al più classico dei paradossi, insomma: nessuno è profeta in patria. La cosa ovviamente non può che pesare sui consumi. Ma a dirla tutta, non è l‘unico motivo a deprimerli. C’è da mettere in conto la sfiducia dei consumatori verso le produzioni bio, ma anche la crisi economica e l’inflazione che ha inciso sulla capacità di spesa delle famiglie. Cresce il numero di quelle a rischio povertà e quelle che sempre più difficilmente possono accostarsi al cibo biologico visto che sul mercato al dettaglio costa molto di più di quello convenzionale.
Qualcuno sostiene che il biologico necessita di democratizzazione e di diventare alla portata di tutti. Ma come riuscirci? Bisognerà agire sulle distorsioni che portano ad esagerare nei ricarichi, ma anche sullo sbilanciamento e la rarefazione della filiera bio fatta da un numero di operatori (quelli che controllano il mercato del bio in Sicilia) finora troppo limitato.
I produttori, dal canto loro, subiscono la situazione. E siccome in qualche modo devono vendere i loro prodotti, spesso, nonostante la certificazione bio, li collocano sul mercato del convenzionale. Uno spreco di risorse mai visto (quelle erogate come premi ai produttori) e una mortificazione del valore di eccellenze a cui deve essere posto un rimedio.
Che fare, dunque? L’Autorità di Gestione del PSP in Sicilia ha già in mente qualche correttivo. Sarà dato maggiore spazio ai progetti di promozione dei prodotti bio siciliani sui mercati dell’Isola e nei prossimi bandi sulle misure del bio, tra i requisiti dei beneficiari, verrà introdotto quello della commercializzazione come bio. Possibile anche un intervento sull’erogazione dei premi per la prossima annualità dei bandi 2022 con l’adozione di un tetto al plafond dei premi da associare a un criterio di priorità basato appunto sull’immissione del prodotto come biologico e non come convenzionale. La strada, dunque, è in salita, ma è l’unica percorribile. E non ci sono scorciatoie.
Angela Sciortino