COP16 di Roma: un accordo per la biodiversità tra progressi e incertezze

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La COP16 sulla biodiversità si è conclusa a Roma il 27 febbraio 2025, dopo intensi negoziati che hanno visto la partecipazione di delegati da quasi 200 nazioni. La tre giorni è stata la continuazione della riunione della COP16 tenutasi a Cali (Colombia) nell’ottobre 2024, che aveva portato a diversi risultati senza però raggiungere un accordo su tutte le decisioni necessarie per attuare correttamente il quadro globale sulla biodiversità. La conferenza di Roma invece è stata determinante per la firma di un accordo globale che prevede la mobilitazione di 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 per la tutela delle specie a rischio, finanziamenti che arriveranno da fonti pubbliche e private. La gestione di queste risorse è stata al centro del dibattito, con i Paesi ricchi favorevoli all’uso del Global Environment Facility (GEF), mentre le economie emergenti chiedevano un meccanismo autonomo. La mediazione del Brasile ha permesso di trovare un compromesso: il fondo resterà all’interno del GEF, ma sotto il controllo della COP, con la possibilità di sviluppare un sistema separato in futuro.

Tra i risultati più importanti dell’accordo c’è l’adozione di un quadro di 23 indicatori per monitorare l’uso dei fondi e garantire che vengano impiegati efficacemente nella conservazione della biodiversità. Inoltre, è stato ufficialmente lanciato il “Fondo Cali”, uno strumento volto a redistribuire i profitti derivanti dallo sfruttamento commerciale delle risorse genetiche a beneficio dei Paesi in via di sviluppo e delle comunità indigene. Tuttavia, permangono molte incertezze sulla reale applicazione di queste misure. Al momento, il Global Biodiversity Framework Fund (GBFF) ha raccolto solo 382 milioni di dollari, una cifra molto lontana dagli obiettivi prefissati.

La conferenza ha ribadito l’impegno a eliminare almeno 500 miliardi di dollari all’anno in sussidi dannosi per la biodiversità, ma senza definire vincoli concreti per gli Stati. Anche il Cali Fund, pur rappresentando un passo avanti, rimane uno strumento volontario, senza obblighi per le multinazionali che traggono profitti dalla biodiversità. L’assenza degli Stati Uniti, che non hanno mai ratificato la Convenzione sulla diversità biologica, e la scarsa presenza dell’Italia, con la partecipazione di un sottosegretario solo a lavori in corso, hanno sollevato critiche.

Nonostante questi limiti, l’accordo rappresenta un passo avanti nell’attuazione del Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework, adottato alla COP15 nel 2022. La strada verso il 2030 resta però piena di sfide: il successo dipenderà dalla capacità dei governi di trasformare gli impegni finanziari in azioni concrete. La COP17, prevista tra due anni, sarà il primo vero banco di prova per verificare se le misure adottate a Roma riusciranno a colmare il divario economico che ancora ostacola la lotta alla crisi della biodiversità.

La Redazione

Notizie da GreenPlanet

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