Clima di attesa, vanno interpretati i dati del report “Bio in cifre 2024”

Piva

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Il report “Bio in cifre 2024”, presentato lo scorso 17 luglio, fornisce dati che a livello macro aggregato sono positivi e confortanti di un settore che continua a crescere anche se un’analisi un po’ più ragionata ed approfondita fa emergere qualche ombra che da tempo grava sul settore e non lo fa decollare.

I quasi 2,46 milioni di ettari “biologici” che rappresentano il 19,8% della SAU totale nazionale (+ 4,5% rispetto al 2022), di cui 528.396 in conversione, stanno ad indicare che il biologico nel corso del 2023 è stato ancora attraente a livello agricolo nonostante le numerose ed aumentate difficoltà burocratiche che sempre più affliggono il settore. Il numero degli operatori è complessivamente aumentato dell’1,8% con una maggior incidenza della categoria dei produttori-preparatori cresciuti del 3,8% a fronte di una stasi dei preparatori ed un calo degli importatori, mentre i produttori “puri” sono cresciuti dell’1,5%.

Analizzando le colture che hanno determinato l’incremento di superficie possiamo concludere che la maggior parte sono colture estensive e poco specializzate poiché all’aumento complessivo di 106.139 ettari concorrono ben 67.014 ettari di prati-pascoli, 3.691 ettari “a riposo” e nei + 34.179 ettari dei seminativi pesa parecchio il ruolo delle foraggere. La domanda che ci si è posti nella riflessione complessiva su questi dati è la seguente: l’aumento in termini di superficie ed operatori ha comportato un analogo incremento in termini di valore economico? La produzione lorda vendibile biologica (PLV) è aumentata?

Non è difficile arguire che ciò non è accaduto poiché le coltivazioni oggetto di aumento generano una PLV bassa, in particolare quando prati-pascoli e foraggere non sono “collegate” alla produzione zootecnica che, invece, in biologico rimane marginale se non in arretramento per alcuni comparti, o anche quando cereali e colture proteiche arretrano a favore di altre tipologie colturali. A ciò si aggiunga il fatto che come dallo stesso report emerge, i prezzi all’origine dei prodotti biologici hanno ridotto il GAP con gli analoghi convenzionali e sono diminuiti in valore assoluto contribuendo a ridurre il valore economico dei prodotti biologici alla produzione.

Nel corso del 2023 anche il mercato è rimasto sostanzialmente stabile e l’incidenza sui consumi alimentari globali a livello di GDO ha toccato, secondo ISMEA, il 3,5%, nonostante a valore il biologico sia cresciuto del 5,2% sul 2022 e a volume dello 0,2%. Secondo un’altra fonte, NIQ, il peso del biologico sull’alimentare complessivo nazionale era pari, sempre nello stesso periodo, al 2,9%. In termini di valore, pertanto, il settore primario è rimasto in linea con il mercato e gli incrementi di superficie sono, probabilmente, da ascrivere più alle provvidenze della PAC, che nel quinquennio 2023-2027 ha previsto che il 48% di tutti i pagamenti agro ambientali siano dedicati al biologico per un importo totale che incide per il 14% della spesa complessiva del “secondo pilastro” (PSR) della medesima PAC.

Nel contempo il ruolo dell’import non può aver depresso in alcun modo la volontà del mondo della produzione verso il biologico. Nel comparto dei cereali, primo fra i prodotti importati, le 70.709 tonnellate, calcolando una resa media per prodotto, corrisponderebbero all’incirca ad una superficie di 12.500 ettari a fronte di una superficie nazionale che nel 2023 ha totalizzato 355.720 ettari. Nell’aggregato frutta fresca e secca l’import ha toccato quota 53.858 tonnellate di cui 42.833 erano banane. Per i semi oleosi anche nel convenzionale più del 90% della soia viene importata e ciò accade anche per il biologico.

Anche il clima di fiducia, calcolato e riportato da ISMEA nell’ambito del report, testimonia un calo nel secondo semestre del 2023 e come questo sia risultato peggiore per le aziende biologiche rispetto alle convenzionali.
Il settore sembra essere in una fase di attesa, con almeno un biennio in cui non ha generato un grande valore economico come nei periodi precedenti. Occorre una grande campagna verso il consumatore ed un’inversione di tendenza sul piano normativo in ambito nazionale, esattamente il contrario di quanto avvenuto con il D Lvo. 148/2023 e con l’ultimo decreto sulle non conformità.
Fabrizio Piva

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