Ciò che ci aspetta, ciò che dovremmo fare

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Le previsioni 2013 sono negative per l’economia europea e italiana. Ne siamo un po’ tutti preoccupati. Saranno anche le decisioni programmatiche del nuovo governo, a seguito delle prossime elezioni politiche, a incidere sulla situazione italiana ma, comunque, ormai è certo che almeno il primo semestre sarà di recessione, con consumi in calo, produzione stagnante, disoccupazione in aumento. Il mondo marcia a due velocità e noi ci troviamo ormai in quella parte che marcia a velocità ridotta.

In Europa e in Italia aumentano i poveri (si parla e si scrive di ‘nuove povertà’ e queste non risparmiano giovani e anziani) ma in generale nel mondo aumenta il numero dei ricchi (per effetto della crescita delle regioni più popolose dell’Asia).

La sfida che si ripropone è come trovare una via d’uscita comune alla crisi economica e alla latente crisi ambientale, più silenziosa e subdola quest’ultima ma forse ancora più pericolosa della prima perché intacca ciò che ci circonda, ciò che respiriamo e mangiamo, dunque la nostra stessa salute con risvolti economici pesanti.

La parola magica è sostenibilità: far ripartire l’economia con tutte quelle attività green che migliorano le condizioni ambientali.

Noi siamo d’accordo, crediamo che debba essere senz’altro così, che questa sia la strada da percorrere con urgenza. Pensiamo al nostro pianeta fatto per il 70-71% di acqua e solo per il 29-30% di terre emerse. Esiste un delicatissimo equilibrio tra le due parti, che si gioca sul clima e su altri elementi che possono dare effetti estremi quando l’equilibrio si rompe.

L’enorme massa d’acqua degli oceani è una grande alleata della vita, è il più grande serbatoio alimentare a nostra disposizione, ma può creare sconvolgimenti enormi anche solo per effetto di cambiamenti climatici minimi, come è successo anche nel 2012 (uragano Sandy). Non solo l’umanità non si prende cura degli oceani ma li sta inquinando oltre misura. C’è un grandissimo lavoro da fare, investimenti da mettere in campo per ripulire gli oceani e garantire la vita alla fauna marina. Meno di 10 anni fa è stata scoperta, nel mezzo del Pacifico, a metà strada tra Giappone e California, un’immensa isola (grande almeno quanto il Quebec, quindi 5 volte l’Italia) di oggetti di plastica galleggianti in taluni punti profonda fino a 10 metri.

Da quel momento quel continente di plastica si è scomposto e ricomposto, alimentato da correnti marine che spingono in quell’area miliardi di detriti galleggianti. Osservazioni e rilievi vengono fatti costantemente da allora ma poco o nulla è stato fatto per ridare al mare la sua dignità, per risolvere un problema che pesa come un macigno sull’equilibrio naturale della più grande superficie d’acqua del pianeta.

E i grandi campi di impegno riguardano anche le terre. La qualità dell’aria che respiriamo è minata dal calo delle foreste, la metà delle quali si trovano nella fascia tropicale. Le foreste occupano meno del 30% della superficie terrestre. Tra il 1990 e il 2005 si è verificato un colossale attacco alle foreste tropicali, che sono calate di un terzo in quel quindicennio. Successivamente la de-forestazione è continuata a ritmi meno rapidi ma questa attività – pur essendo un’operazione kamikaze per il genere umano – è ancora in corso.

E c’è l’impatto crescente – su questo pianeta che l’ha vista nascere e poi crescere ai suoi albori lentamente tra insidie e difficoltà – di un’umanità che raggiungerà i 10 miliardi di individui entro questo secolo.

Ma possiamo arrivare al nostro Paese e ad ognuno di noi con tantissime sfide da affrontare sulla base di una nuova consapevolezza, che può partire dalla spesa che facciamo, da come singolarmente gestiamo i rifiuti di casa, da come ci spostiamo. Abbiamo diritti e doveri che prima non avvertivamo come tali, non ne coglievamo l’urgenza. Il diritto, ad esempio, ad una politica che colga, complessivamente, le priorità della svolta green.

Antonio Felice

editor@greenplanet.net

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