Per qualcuno si tratta di un ossimoro, ovvero di una contraddizione in termini. Per noi, che da anni siamo impegnati su entrambi i fronti, non è assolutamente vero.
Ne è dimostrazione lo sviluppo di entrambi i settori: molte imprese impegnate nel settore dell’ortofrutta fresca hanno sviluppato entrambi i segmenti e molte aziende agricole sono transitate dall’integrato per giungere al biologico, l’integrato ha costituito un’ottima palestra per sperimentare tecniche produttive poi affinate nel biologico.
Entrambi i settori affondano le loro radici nel concetto della compatibilità ambientale e della sostenibilità, il biologico è sicuramente più "radicale" e questo ne ha anche favorito l’accettabilità da parte di un consumatore che è riuscito a distinguerne i confini in modo più netto rispetto alla produzione integrata, il cui significato non è sempre così chiaro e sconta l’assenza in termini di valorizzazione. L’Italia è il Paese europeo in cui maggiore è la tradizione produttiva della Produzione Integrata così come rappresenta il primo Paese per quanto concerne il biologico.
Non a caso lo scorso gennaio è stato approvato il Sistema Qualità Nazionale sulla Produzione Integrata (SQNPI), quale tentativo di dare una fisionomia più definita sia per quanto attiene alle regole produttive che agli sforzi in materia di valorizzazione. Un tentativo che al momento non è ancora operativo, ma che potrebbe costituire un’ottima occasione di valorizzazione senza particolari timori per il biologico; anzi, l’integrato potrebbe elevare la sostenibilità del settore convenzionale e rendere ancora più netta la distinzione con il biologico. Anche in materia di incentivi nulla cambierebbe per un settore che da quasi un ventennio ha saputo distinguere i contributi destinati alla produzione integrata rispetto al biologico.
Di questa nostra opinione ne è testimonianza anche il convegno che da ormai dieci anni abbiamo organizzato all’Università Cattolica di Piacenza e che lo scorso 25 novembre 2011 ci ha interrogato sul rapporto esistente fra Integrato e sostenibilità ambientale; esattamente lo stesso interrogativo che da qualche anno ci siamo posti sul biologico. A maggior ragione i metodi produttivi che si richiamano alla compatibilità ambientale devono interrogarsi sul livello di sostenibilità e capire ove si collocano; nell’ottica delle decisioni assunte dall’UE in materia è fondamentale misurare le proprie performances ed eventualmente ritarare le modalità di produzione per poter corrispondere sempre più alle aspettative ed alle richieste del mercato.
Come CCPB abbiamo messo a punto un sistema di valutazione degli impatti ambientali che, tramite il calcolo LCA, consente di misurare ed esprimere per unità funzionale di prodotto (Kg. – lt. – ha) i gas serra, espressi in gr/kg di CO2 equivalente, i consumi idrici, il potenziale eutrofizzante, l’acidificazione , la tossicità dell’acqua e del suolo, il suolo utilizzato nella fase primaria, il bilancio energetico, la quantità di energia da fonti rinnovabili sul totale dell’energia utilizzata ed altri indici inerenti la salute umana. Un sistema dedicato all’agroalimentare ed alle agroenergie che prende in considerazione le filiere coinvolte ed ogni singolo step produttivo che le compone.
Da questo punto di vista, biologico ed integrato, così come a maggior ragione tutti gli altri processi produttivi, devono misurare il proprio livello di sostenibilità ambientale e comprendere quale è il loro contributo eventualmente migliorando le tecniche e le scelte produttive che possono ridurre ulteriormente l’impatto ambientale. Scelte di carattere ambientale, di marketing e soprattutto di razionalizzazione dei processi in un’ottica di risparmio delle risorse ed in una valorizzazione dei processi produttivi e di alcuni fattori a scapito di altri.
Fabrizio Piva
amministratore delegato CCPB