Due marchi, quello IGP e Bio insieme, per la carota novella di Ispica non riescono a ottenere l’apprezzamento del mercato. Accade cosí che il mercato europeo premi le produzioni di carote siciliane biologiche, ma se queste riportano in etichetta anche il marchio IGP, la cosa ha poca importanza e il prezzo non ne risente. Spesso i buyer non mostrano interesse e non riescono a valorizzarle.
Diversa la situazione in Italia dove, invece, la GDO apprezza il marchio territoriale, ma per il bio mostra ancora un interesse limitato. Saranno probabilmente i prezzi maggiori a scoraggiare i buyer e il fatto che la platea dei consumatori attenti alla qualità e altospendenti, a causa della crisi economica, non riesce a crescere.
“Produrre la carota in biologico è più costoso che in convenzionale”, spiega Carmelo Calabrese, direttore commerciale della OP Colle d’Oro, società consortile con sede a Ispica che ogni anno commercializza in media 5,5 mila tonnellate di carote. “In bio – continua Calabrese – le rese sono minori e si rendono necessarie alcune operazioni colturali meccaniche per sostituire l’intervento chimico. Il controllo delle infestanti in bio, per esempio, non si può fare con i diserbanti, ma necessita della scerbatura. Si tratta di operazioni costose che incidono poi sul prezzo finale che risulta maggiorato del 20 per cento rispetto a quello del prodotto convenzionale».
Ma perché oltre i confini italiani la carota novella di Ispica IGP Bio non riesce a trovare lo spazio che merita? Un’idea Calabrese se l’è fatta: “La verità è che all’estero, e quando parlo di estero intendo l’Europa, l’IGP e gli altri marchi territoriali di qualità ancora non sono ben percepiti. Il motivo? Semplice: la vasta platea dei consumatori, tranne qualche rara eccezione, non ne comprende il significato. Il pensiero del consumatore può concentrarsi sulla certificazione di processo più facile da capire come quella della coltivazione in bio, ma non riesce a percepire il fatto che un prodotto fresco possa realizzarsi solo ed esclusivamente in un territorio circoscritto. Del resto come biasimarli…La ricchezza in prodotti a marchio territoriale che caratterizza l’Italia (1800 prodotti, ndr) non ha uguali in nessun altro Paese della UE. Pertanto è difficile che un consumatore danese o tedesco, tanto per fare qualche esempio, riesca ad apprezzare un livello altissimo di qualità espresso dalla combinazione del marchio IGP e di quello Bio”.
C’è da fare anche un’altra riflessione: a differenza di altri prodotti freschi, e per la Sicilia il pensiero va all’Arancia Rossa di Sicilia IGP, manca ed è mancata una comunicazione incisiva, efficace e protratta nel tempo. “Cosa davvero complicata da fare – conclude Calabrese – quando il numero dei produttori coinvolti è fortemente contenuto e la massa prodotta ha numeri che per quanto rilevanti, restano comunque impossibili da paragonare a quelli di altri ortaggi o frutti che hanno areali di produzione più ampi”.
Angela Sciortino