Dopo la pubblicazione della mail inviata alla nostra redazione da un nostro lettore, Massimo Nadal, e pubblicata nella newsletter di mercoledì 29 marzo, il segretario generale di Federbio Paolo Carnemolla ha risposto:
Gentile Massimo,
mi fa piacere che lei sia interessato a conoscere di più del nostro standard “High Welfare” per l’allevamento biologico. Come forse non ha ben compreso la mia non era un’intervista su questo standard con cui “far bella” FederBio ma ho citato lo standard solo come esempio concreto di ciò che a nostro parere dovrebbe essere fatto per tutte le attività certificate biologiche, al fine di garantire una reale demarcazione/differenza rispetto all’allevamento e all’agricoltura convenzionali e quindi dare reali garanzie ai consumatori sull’applicazione rigorosa e uniforme dei principi che sono alla base anche della normativa europea.
FederBio è una rete di organizzazioni di impresa a livello nazionale che al tempo in cui fu avviato il percorso per lo standard “High Welfare” associava anche la maggior parte degli organismi di certificazione dei prodotti biologici in Italia, dunque l’intento di questo standard, così come di molte delle linee guida e documenti tecnici che lei ha trovato sul nostro sito, era ed è fornire strumenti di standardizzazione e miglioramento a tutto il sistema biologico nazionale. Gratuitamente.
Fra il 2017 e il 2018 gli organismi di certificazione sono usciti tutti, tranne due, proprio per il venir meno di una visione e un impegno comune per un effettivo cambio di passo nell’applicazione delle norme e nel funzionamento e riforma del sistema di certificazione. Lo standard e le linee guida di FederBio sono dunque rimaste, per quello che è ancora valido, come un contributo e un percorso a disposizione delle imprese per adeguare e migliorare la loro pratica di agricoltura e allevamento biologico ma anche dei tecnici e degli stessi consumatori che vogliono capire come dovrebbe essere correttamente e coerentemente praticato il metodo biologico. E che rispetto a questo possono e devono incalzare direttamente le imprese e gli organismi di certificazione che compaiono in etichetta.
Per questo approccio che caratterizza il nostro ruolo, FederBio per lo standard “High Welfare” non ha adottato un marchio per il cui uso incassare royalties, dato che per noi non è un “disciplinare privato” ma un modo corretto di applicare le norme esistenti. Dunque siamo a disposizione di qualunque allevatore per formazione e consulenza per adeguarsi allo standard ma lasciamo poi all’allevatore e al suo organismo di certificazione l’implementazione del sistema di gestione aziendale e quindi la verifica del rispetto del modo in cui l’allevamento si è adeguato allo standard. Dunque senza costi e adempimenti aggiuntivi, se non nella fase iniziale di adeguamento, per evitare di gravare ulteriormente sul costo dei prodotti anche a scaffale.
Diverse aziende si sono rivolte a noi dopo aver saputo dell’esistenza dello standard, in alcuni casi adottandolo anche solo parzialmente per migliorare alcuni aspetti della loro gestione e non necessariamente solo per gli allevamenti biologici, come ad esempio per il divieto di soppressione dei pulcini maschi nel caso di allevamenti di galline ovaiole, o per selezionare gli allevamenti biologici di bovini da carne per la propria linea di prodotto a marchio. In questi casi non c’è il riferimento al nostro standard in etichetta perché lo standard è stato utilizzato solo come spunto per migliorare un aspetto particolare o perché la catena di distribuzione non ha ritenuto farlo per propria politica aziendale di marchio. Altre aziende da lei citate non hanno sentito l’esigenza di modificare il loro sistema di allevamento biologico certificato o si sono rivolte a noi ma siamo ancora nelle fasi preliminari di verifica del percorso necessario per una applicazione dello standard rigorosa. Di certo c’è molta confusione fra aziende e organismi di certificazione sul tema del benessere animale e allevamento biologica, testimoniata dal fatto che ci sono prodotti di derivazione animale biologici con in etichetta il riferimento a standard di benessere animale generici che riguardano parametri già coperti dalla certificazione biologica e dunque ingannevoli per i consumatori.
Non spetta a FederBio nel suo ruolo di organizzazione “non governativa” imporre standard o regole a imprese che possono contare su organismi di certificazione che prediligono una lettura “facile” delle norme vigenti, non sempre scritte in maniera inequivocabile, soprattutto se lette in maniera decontestualizzata rispetto i principi cardine di tutto l’impianto normativo della produzione biologica.
Cordialmente,
Paolo Carnemolla