Biodinamico, Piccolo lancia la sfida alla scienza prevalente

Alessandro Piccolo

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“Credo che, considerata la realtà della produzione biodinamica in Italia, sia sicuramente molto importante sostenerla, a partire dalla rivoluzione che ha coinvolto biochimica e biologia: fuori dalla cellula, si entra in un campo ancora poco studiato”. Quindi, Steiner a parte – le cui convinzioni, oltre ad essere legate all’antroposofia, sono anche per forza di cosa datate – Alessandro Piccolo, professore di Chimica agraria ed ecologia all’Università di Napoli, fondatore della Società scientifica per la biodinamica e insignito del premio per la chimica dalla prestigiosa fondazione tedesca Alexander von Humboldt per le ricerche sulla chimica dell’humus, spiega in quale ambito della scienza si debbano inserire lo studio e la sperimentazione sulla biodinamica. E sfida gli scienziati che si oppongono alla biodinamica ad un confronto su temi concreti.

– Professore, il mondo della scienza prevalente definisce la biodinamica ‘stregoneria’ e anche scienziati come Elena Cattaneo e il premio Nobel Giorgio Parisi, nella lectio magistralis in cui ha parlato del pericolo dell’atteggiamento antiscientifico, l’ha definita tale. Dove si colloca la biodinamica?
“Quando affrontiamo la biodinamica abbiamo a che fare con una problematica ben più complessa di quelle che affrontano i biologi molecolari, i quali studiano la cellula animale che è strettamente riproducibile uguale a sé stessa. Lì siamo nel campo della termodinamica del reversibile, perché, appunto, le cellule sono confinate dalle loro membrane cellulari; sono quindi dotate di un sistema fisiologico e biochimico che riproduce se stesso, sempre uguale. Fuori dalla cellula siamo, invece, nel campo della termodinamica dell’irreversibilità. Quindi, quando parliamo di humus, ci troviamo nell’ambito di sistemi complessi, emergenti, che la scienza ancora non ha avuto modo di studiare a fondo. I sistemi complessi fisici sono il campo di indagine del professor Parisi; i sistemi complessi eterogenei tipici sono altra cosa; è lì che la materia vivente si interfaccia con la materia abiotica, non vivente”.

– Quindi per lei è sbagliato parlare di ‘stregoneria’…
“È senz’altro semplicistico. E dobbiamo capire che i nostri sistemi economici vedono con gran paura l’instaurarsi di una problematica che si collochi al di fuori della cellula, perché è qualcosa che i genetisti non controllano più; non parliamo più di Dna, Rna, trascrittomica, ma di ‘umeomica’, (o ‘humeomica’), ovvero della complessità dell’humus, base della vita, che è ancora imperscrutabile. Il mio gruppo ha raggiunto negli ultimi 20 anni alcuni risultati, in grado di dare finalmente una comprensione della struttura dell’humus, sia nel suolo sia nell’ambiente. Abbiamo messo a punto una tecnologia – detta umeomica (per traslazione dalle tecniche omiche nella cellula, ndr) – con cui riusciamo a mappare l’umeoma del suolo, che è preposto all’interazione con l’apparato fisiologico della pianta. Le interazioni tra materiale umico e materiale labile, metabolico permette la stimolazione fisiologia e biochimica delle piante. Scienziati come Elena Cattaneo non hanno un’idea di tutto ciò, evidentemente, e si rifanno alle idee di Steiner dell’inizio del ‘900, ovviamente datate, legate all’antroposofia”.

– Questo aspetto rende la biodinamica molto attaccabile…
“Si tratta di un pretesto. Oltre tutto, se proprio si vuole andare alla sostanza delle cose, le teorie steineriane hanno una base parascientifica, se osservate alla luce della rivoluzione introdotta dalla nuova fisica quantistica – che dovrebbe essere molto chiara professor Parisi – in cui energia e massa sono equivalenti. Quindi, tutto quello che è stato detto da Steiner in maniera fantasiosa e immaginifica è qualcosa che può riferirsi alla indeterminatezza della nuova fisica nei sistemi micro e nano, non più controllati dalla fisica newtoniana. Oggi ci sono astronomi che parlano di multiverso e non di universo, ovvero di universi che vivono ed esistono contemporaneamente. Siamo veramente a dei livelli di stimolazione intellettuale superiori e non può bastare parlare di stregoneria. O vogliamo dire che sono stregoni anche gli astronomi quando parlano di multiversi?
Rendiamoci conto che siamo nella fisica quantistica, nella quantomeccanica, nell’indeterminatezza delle nostre conoscenze. Tornando a noi, a maggior ragione, in un sistema a matrice complessa ed eterogenea come quello del suolo-pianta, l’humus biodinamico viene stimolato con le essenze estratte da vegetali e trattate in un certo modo: in questo modo i metaboliti si distribuiscono in maniera diversa a seconda del trattamento e possono stimolare più o meno le piante. Noi di questo non sappiamo niente”.

– Si riferisce ai preparati come cornoletame e cornosilice?
“A quelli e ad altri, ad esempio vegetali, che sono stati messi in membrane a digerire, sviluppando un metabolismo molto particolare. Io e il mio gruppo abbiamo pubblicato lavori in cui dimostriamo, con sperimentazione obiettiva e scientifica, che vi è una diversità tra le caratteristiche chimiche dell’humus compostato nel cornoletame e quello che invece si ottiene in maniera aerobica, nel compostaggio ‘normale’. Quindi esistono due processi: quello anaerobico, ottenuto con il cornoletame, e quello aerobico. Abbiamo osservato che nel processo anaerobico ci sono delle componenti fenoliche, proprio perché l’anaerobicità, la mancanza di ossigeno, deprime l’attività dei funghi e fa sì che esistano più fenoli: essi danno energia, stimolano l’attività fisiologia delle piante. Quindi, in sostanza, usare il cornoletame in fertirrigazione, mettendolo intorno alla radice delle piante, permette di attivarne i recettori e anche le comunità microbiche rizosferiche. In questo modo si dà un supporto maggiore alla pianta. Questo è un sistema che è stato messo a punto nella storia naturale vegetale tra suolo e pianta e che permette al suolo, con la pianta, di superare gli stress che essa stessa può incontrare”.

– Insomma, la realtà della biodinamica, a suo avviso, è molto più complessa di come la si voglia descrivere…
“C’è un’enormità di cose da studiare fuori dalla cellula, un sistema molto più complesso di quello che studiano i genetisti al suo intenro: fuori dalla cellula siamo nel campo probabilistico, statistico, nel campo della quantomeccanica, assimilabile alla ‘stregoneria astronomica’ del multiverso. Quando si accetterà questo punto, allora si potrà conversare con il professor Parisi e la professoressa Cattaneo”.

– È questo quindi l’ambito che lei sta studiando?
“Con la Società di scienze biodinamiche ci proponiamo proprio di affrontare questa casistica emergente e probabilistica del sistema. È fondamentale fare questi studi se si vuole proteggere l’agroecologia del sistema agricolo italiano, che già guadagna svariati miliardi ogni anno. Dobbiamo fare sì che tutto questo diventi conoscenza e poi tecnologia, che tutto sia più standardizzato”.

Quanto e cosa manca per arrivare a questo punto?
“Mancano i soldi. Se i soldi vanno solo ai genetisti, che si dannano contro la biodinamica, è chiaro che non si può andare avanti. Fette gigantesche della sovvenzione della ricerca italiana vanno ai genetisti. Se anche un 10% fosse destinato allo studio fuori cellula, allora potremmo proseguire negli studi”.

– Quindi, questo secondo lei è il motivo per cui si sente forte solo la voce di questa parte della scienza?
“L’apparato è l’espressione di un sistema politico sistema Paese; parlare male di biodinamica è un asset. Ma gli interessi legati al biodinamico sono molto forti perché cominciano ad esserci delle lobby influenti. Tant’è vero che una legge in Parlamento sta lì in attesa; non a caso è stata votata già da un ramo del Parlamento; non a caso il ministero delle Politiche agricole ha già finanziato un round di ricerche in biodinamica (si può linkare l’ultimo pezzo) e sta valutando il secondo round. Io stesso ho partecipato ad un altro bando – per il quale siamo in attesa delle decisioni del Ministero – dedicato all’uso dell’humus in nanoparticelle che servirebbe a diminuire l’inquinamento di rame nella produzione biologica e biodinamica. Il rame è fondamentale per lottare contro la peronospera, specialmente nella vite, ma esistono dei limiti al suo utilizzo. La biodinamica tenterebbe di eliminarlo ma non è possibile in toto, e così lo usa per non più di 5 kg per ettaro, mentre nell’agricoltura convenzionale si utilizza ad libitum. Noi vorremmo vedere se si può veicolare questo rame in nanoparticelle negli stomi delle piante: inserirlo, insomma, attraverso aperture nanometriche invece che spargerlo con le pompe sarebbe meglio..”.

– Cosa si aspetta dall’iter della legge, verrà votata?
“Io penso di sì, anche se siamo in un momento storico difficile e da un lato avrebbe senso aspettare”.

– I detrattori paragonano questo iter parlamentare a quello fatto da stamina, cosa ne pensa?
“Non c’entra nulla! Ci sono già molte famiglie che vivono sul biodinamico. È da irresponsabili la posizione che hanno preso questo persone”.

– È un peccato che non si riesca a porre il dialogo e il confronto tra scienziati sul biodinamico…

“Non vogliono averlo, mi pare. Il mantra è la stregoneria perché Steiner parlava della luna e di produzione agraria, rifacendosi a conoscenze ancestrali. A noi oggi deve interessare capire perché certi metodi funzionano e che funzionino è un fatto. Se vogliamo essere persone moderne, non dico neanche positivisti, che applicano il metodo realmente scientifico, dobbiamo sperimentare e capire come funziona la natura e verificare se è possibile avere delle tecnologie simili a quelle naturali per aumentare l’ecologia del pianeta. Lo sanno queste persone che tutto il mondo della viticoltura si muove già attorno al biodinamico? Adesso il vino è tutto biodinamico; il vino vive di marketing e il brand agroecologico è quello che lo fa vendere meglio. Il biodinamico è un’etichetta: quello che noi dobbiamo fare adesso è sostituire l’etichetta del biodinamico con la conoscenza scientifica, vedere come funziona la matrice complessa suolo-pianta”.

Chiara Affronte

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