Bio dove sei?

Fabrizio Piva

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Spesso abbiamo imputato al biologico di essere poco audace, poco coraggioso, di non essersi proposto con un linguaggio nuovo ed in linea con i tempi di quest’ultimo decennio, di essere poco “cool”, di essersi conformato al mainstream di una sostenibilità pret-a-porter che va bene in ogni stagione e di aver adottato un linguaggio ispirato più al burocratese di stampo ministeriale. Ma in questi ultimi mesi il silenzio è assordante e persino la voce ministeriale si è rarefatta.

L’ultimo bollettino di ISMEA sui consumi bio ha confermato quanto altre fonti ci hanno anticipato ad inizio anno, ovvero che nel 2024 i consumi nella GDO hanno progredito positivamente con un +2,9% in valore e un +4,3% in volume, grazie ad una riduzione dei prezzi che, da quanto abbiamo notato, si sono riverberati subito sulle materie prime agricole, il cui gap di prezzo con il convenzionale si è ulteriormente ridotto, mentre i prezzi al consumo sono rimasti tali. Nonostante l’andamento positivo dei consumi, l’incidenza della domanda interna dei prodotti biologici sul totale agroalimentare si colloca intorno al 3% ed il biologico rimane complessivamente un consumo ancora di nicchia. Del resto per aumentare i consumi è necessario che la distribuzione faccia trovare ai consumatori più prodotto biologico ad un prezzo accettabile, purtroppo sta accadendo il contrario attraverso la moltiplicazione di prodotti sostenibili, o pseudo tali, che insidiano e scimmiottano l’immagine del biologico ed in tal modo viene sempre più marginalizzato nei punti vendita. L’effetto è ancor più dirompente se pensiamo che quasi l’80% del biologico nazionale viene esitato dalla GDO (DO e discount) ed un prodotto biologico su due viene venduto con il suo marchio. Tutto ciò in un quadro economico in cui la distribuzione non sta investendo in nuove referenze o nuovi prodotti biologici, ma come emerso nell’ultimo webinar sta riducendo anche gli spazi di vendita a favore del biologico. Per fortuna tiene l’export ed il prodotto nazionale viene apprezzato sempre più sui mercati mondiali, guerre commerciali permettendo.

Sul piano produttivo i prezzi diminuiscono ed i costi di produzione aumentano, inoltre persiste, come più volte denunciato, un pregiudizio negativo verso il settore da parte di buona parte della “burocrazia” pubblica con norme che quando va bene aumentano inutilmente gli oneri burocratici e quando va male ostacolano (soglia dei residui, non conformità e sanzioni assurde, etc) il normale ciclo produttivo scoraggiando molti produttori a proseguire nel biologico nonostante gli incentivi pubblici in tale direzione. Ne sono prova i dati pubblicati da Assocertbio durante l’ultimo Biofach che per il primo anno (2024) vedono operatori e superfici ferme.

Il sistema produttivo, inteso nell’accezione più ampia di filiera, fa la sua parte producendo bene ma continua a non investire in termini di comunicazione. Nel biologico si comunica poco e in modo discontinuo. Aziende di primo piano comunicano molto sui brand convenzionali e nulla sul biologico, a parte qualche rara eccezione. Così la filiera rischia di incepparsi e qualcuno può prendere in considerazione una ritirata strategica, soprattutto anche alla luce di un ripensamento politico, molto miope, sulla sostenibilità e sul Green Deal che rischia di indurre il cittadino-consumatore a ritenere che il cambiamento climatico non sia un problema e che il carattere della sostenibilità sia un orpello volto solamente ad aumentare i costi e a rendere più difficile produrre. Arretrare su questi temi significa ridurre la competitività del sistema UE rispetto ad altre aree geoeconomiche, in primis gli USA che hanno un’economia molto più “fossile” e che, con Trump, stanno usando i dazi per rallentare l’evoluzione sostenibile delle altre aree produttive, non solo l’UE ma anche la Cina.

Tornando all’inizio di questa riflessione, il biologico non è presente nella discussione di tali temi e le sue associazioni non impegnano in modo determinante il decisore politico e l’autorità competente a prendere misure concrete per favorire la crescita del settore. A livello nazionale il silenzio è assordante e sembra essere calata una cortina fumogena. Questo è il momento di semplificare le norme, di pensare al destino del Green Deal o a ciò che accadrà dopo, ad un progetto di comunicazione pubblico robusto che raggiunga il consumatore e che ponga il bio al vertice dei consumi sostenibili e ad incentivare investimenti privati sulla comunicazione attraverso progetti che promuovano, finalmente, i singoli brand e non solo il termine biologico. Da settimane, invece, non si ha notizia del decreto sulle contaminazioni (che fine ha fatto?) che ci auguriamo ci riporti al dettato UE; nulla sappiamo sulla notifica grafica e sul piano colturale che speriamo porti ad una semplificazione anche se ne dubitiamo fortemente; analogamente, nessuna notizia sulle modifiche al D Lgs. 148/2023 che tanta disaffezione sta causando nei produttori. Al contrario, sappiamo che il logo nazionale prosegue spedito verso il suo varo, ma siamo altrettanto consapevoli, come affrontato in precedenti interventi, che non avrà alcuna utilità per il biologico nazionale.

Prima del Covid il biologico cresceva e si affermava quasi indipendentemente dalle misure poste in atto, oggi è necessario un approccio sistemico e complesso che vede più interventi sincroni nelle differenti aree organizzative del processo produttivo e nei vari step di filiera.

Per dirla alla De Gaulle….occorrerebbe un vaste programme!

Fabrizio Piva

Notizie da GreenPlanet

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