Bio distretti, saranno utili al Biologico? Dal webinar di Greenplanet un unanime “sì”

WEBINAR BIO DISTRETTI

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Qual è il ruolo dei distretti del bio e in che modo possono fare da volano alla ripresa del comparto? Su quali pilastri debbono poggiare  per essere realmente funzionali allo sviluppo di un territorio e delle sue realtà imprenditoriali?
Sono state le domande al centro del webinar organizzato da Greenplanet il 13 dicembre scorso, dal titolo: “Biodistretti, saranno utili al biologico? Il punto ad un anno dal DDL del 22 dicembre 2022”. Sono intervenuti Sara Tomassini del Distretto bio Terre Marchigiane, Andrea Rigoni del Distretto bio Altopiano di Asiago, Lucio Cavazzoni del Distretto biologico Appennino Bolognese e il nostro editorialista Fabrizio Piva. 

Il distretto biologico è stato definito un’area territoriale vocata in cui viene sancito un patto con la collettività che si fonda sul concetto di sostenibilità. Non una “corporazione di agricoltori biologici” ma l’espressione della comunità di tutti gli attori che vi operano: dai ristoratori alle amministrazioni locali, passando per le scuole, le istituzioni culturali, le realtà produttive e le imprese. Una filiera della vicinanza, della affettività, dell’amore, della conoscenza, attenta ad uno sviluppo che salvaguardia pratiche e tradizioni antiche e che pone al centro il territorio in senso lato – paesaggio, qualità dell’aria e dell’acqua compresi – per il benessere di tutti.

“Da questo presupposto arriva l’idea che i prodotti abbiano un’anima e che siano essi stessi portavoce del territorio da cui nascono, diventando ambasciatori di sostenibilità. La comunicazione necessaria allo sviluppo delle filiere. Ed è proprio per questo che il bio distretto è anche una forma di difesa nei confronti della competitività basata sul prezzo, imposta dall’attuale modello di sviluppo, poiché conferisce maggior valore all’agricoltura locale, facendo leva sui principi fondanti del Biologico, facendo la sintesi tra costi e benefici per il territorio e la comunità”, ha affermato Andrea Rigoni.

Non solo, l’economia di un territorio può beneficiare del bio distretto “come strumento volto a creare nuove figure professionali e nuovi posti di lavoro, nonché portare innovazione e creare nuove risorse in loco in grado di valorizzare elementi già presenti e colmare GAP come il digital divide”, ha sottolineato Sara Tommasini, che ha aggiunto: “La forza di un bio distretto sta nella sua capacità di supportare relazioni tra livelli diversi, tra l’agricoltura e i settori secondario e terziario, non solo in senso orizzontale, ma anche verticale”.

Dunque il bio distretto come strumento per portare innovazione “ma anche per conservare quello che c’è”, ha precisato Lucio Cavazzoni. “Il problema – ha poi commentato – è che quello che c’è sta morendo o rischia di morire e di finire. Ad oggi persiste uno scollamento tra quello che vorremmo riuscire a offrire e quello che, invece, oggettivamente riusciamo ad offrire. L’unica soluzione è la costruzione di un’altra modalità di trasferimento del cibo. Bisogna – per esempio –  ripensare a soluzioni molto più dirette fra produttore e utilizzatore/fruitore dei prodotti provenienti dalle aree interne di montagna. La strada è riuscire a creare un fondamento economico con prodotti che hanno valenze, valori nutrizionali, ma anche territoriali e sentimentali differenti, che nasca da una soluzione diretta per ripensare al bio distretto come strumento opportuno per la riorganizzazione delle priorità perché l’obiettivo per noi è il territorio, non il senso di privatizzazione, ma di apertura di tutte le energie possibili per poter restituire al territorio la sua relazione autentica con la natura e con tutto ciò che vive”.

“Se pensiamo che l’approccio olistico sia alla base del Bio e lo iniziamo ad applicare ad un territorio e non solo ad un’azienda, l’organismo vivente non è più solo la realtà agricola, ma è l’insieme dei soggetti che compongono quel territorio. Il biodistretto diventa quell’organismo in grado di dare uno sbocco e degli obiettivi che tutti contribuiranno a raggiungere. I territori – ha spiegato da parte sua Fabrizio Piva -, ovviamente subiscono una serie di azioni legate alla presenza dell’uomo, i biodistretti potrebbero promuovere una sorta di LCC territoriale, Life Cycle Costing, che contabilizzi i costi esogeni considerandoli parte di una contabilità ambientale. Si deve fare molta attenzione affinché il biologico non diventi un mero capitolo della politica agricola comune, relegandolo solo ad un mezzo per offrire dei servizi alle aziende che ne hanno bisogno. Peraltro, viviamo in un Paese che soffre di polluzione normativa, in cui si producono decine di decreti inutili. La polluzione normativa non è ambientalmente sostenibile, perché non va nella direzione del biologico”.

Un webinar ricco di spunti, di domande a cui si è dato risposta e di punti interrogativi su cui continuare a riflettere.

Per ulteriori informazioni o per accedere alla registrazione del webinar: info@omnibuscomunicazione.net

Chiara Brandi 

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