Amazzonia a rischio industrializzazione

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In Brasile dallo scorso lunedì 27 maggio ancora una volta un gruppo di circa 170 persone, appartenenti a diversi popoli indigeni, ha occupato un cantiere per la diga di Belo Monte. I rappresentanti indigeni intendono bloccare i lavori finché non verranno consultati in modo corretto e nel rispetto della Convenzione ILO 169 relativamente al mega-progetto di Belo Monte sul loro territorio. Poiché le loro richieste finora sono state ignorate, essi chiedono un incontro diretto con la presidente brasiliana Dilma Rousseff. Gli Indigeni temono l’industrializzazione dell’Amazzonia e delle loro terre in seguito alle apposite leggi appena votate in Parlamento.

Tra il 2 e il 5 maggio scorso uno dei cantieri per Belo Monte era già stato occupato da 150 rappresentanti indigeni. Dopo l’ordine giudiziario per lo sgombero del cantiere la folta rappresentanza si era ritirata per evitare un confronto violento con le forze dell’ordine. Ma poiché il governo aveva considerato chiuso in questo modo la loro protesta e non ha dato seguito alle loro richieste, la rappresentanza di Indigeni è tornata a bloccare i lavori di Belo Monte e questa volta non intende andarsene. L’ordine di sgombero arrivato il giorno dopo dell’inizio dell’occupazione è stato stralciato in pubblico e finora la delegazione indigena non si è ritirata nemmeno di fronte alla minaccia delle autorità di utilizzo della forza da parte della polizia.

Questa escalation è il risultato delle gravi mancanze del governo brasiliano che non si è minimamente preoccupato di rispettare la propria legge avviando un dialogo serio e rispettoso con la popolazione indigena colpita dal mega-progetto. Oltre alla costruzione della mega-diga di Belo Monte, il governo intende costruire altre dighe sui fiumi Tapajos e Teles Pires e anche in questo caso invece di avviare delle consultazioni e puntare al dialogo con i popoli residenti, ha preferito inviare le forze dell’ordine.

Si annunciano gravi soprusi a danno delle popolazioni indigene anche a livello parlamentare. Secondo la proposta di legge PEC215 in futuro non sarà più il/la presidente della Repubblica brasiliana a decidere i confini dei territori indigeni protetti ma il Congresso. Questo però rappresenta perlopiù i proprietari terrieri e gli esponenti dell’economia. Gli Indigeni temono quindi che la legge, se approvata, possa comportare il mancato allargamento delle zone protette e impedire la demarcazione di nuovi territori. La bozza per la legge sull’attività mineraria PL 1610/96 annullerebbe il divieto di sfruttamento delle materie prime nei territori indigeni e il decreto 303/2012 permetterebbe l’intervento militare e la costruzione di basi militari nei territori indigeni.

L’APM teme che la militarizzazione della regione miri a rompere la resistenza indigena contro l’industrializzazione dell’Amazzonia. Lo sfruttamento selvaggio delle risorse in Amazzonia priverebbe i popoli indigeni della loro base vitale. L’APM chiede al governo brasiliano di avviare finalmente un vero processo consultivo secondo i criteri del Consenso previo, informato e libero per tutti i progetti previsti e pianificati nelle terre ancestrali indigene, così come imposto anche dalla Convenzione ILO 169 che il governo brasiliano ha firmato e ratificato.

 

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