Negli ultimi mesi molti “medici”, e anche qualche apprendista stregone, si sono avvicinati al capezzale del biologico per fare diagnosi e formulare terapie volte a sollevare le sorti del settore.
Il principale sintomo che ha preoccupato i più è il calo dei consumi in una congiuntura non certo favorevole: un calo del 4,9% nel 2021 sul 2020 e dell’1,9% a luglio 2022 sullo stesso periodo del 2021 quando il consumo dell’agroalimentare nel suo complesso ha visto un incremento dell’1,8%. Altri indicatori però sono positivi: operatori e superfici aumentano, anche se queste ultime un po’ meno rispetto ai principali partners EU, l’export a luglio 2022 è cresciuto rispetto all’anno precedente del 16% e con la nuova programmazione della PAC sono in arrivo tanti soldi.
Alcuni hanno raccomandato di spingere sulla comunicazione dei valori del biologico quando sono ormai più di trent’anni che il biologico è fenomeno di mercato e la penetrazione commerciale (fonte Nomisma) è dell’89%.
Per altri il prezzo, in un periodo di inflazione a due cifre, non è una variabile importante; infatti il canale dei discount ha fatto registrare un aumento delle vendite 2022 su 2021 del 13,8% e le referenze sono aumentate solo nei discount a differenza di Super ed Iper in cui sono diminuite.
Altri ancora che non è necessario produrre di più, ovvero aumentare la produttività, perché si produce più di quanto si consuma, quindi secondo questi cristallizziamo la situazione attuale con tutte le inefficienze del caso facendo fare al settore un balzo indietro di due decenni ed esponendo il settore “all’erosione” proveniente dai settori e dai prodotti “variamente sostenibili”.
Poi abbiamo letto che la diminuzione dei consumi deriva prevalentemente dal fatto che dopo la pandemia siamo tornati a consumare fuori casa ove il biologico è difficilmente reperibile. E’ sicuramente vero che si trova con difficoltà e che occorre diffonderlo maggiormente ma i dati ci dicono che nel 2022 il consumo domestico si è ridotto dello 0,8% e il fuori casa è aumentato del 53%.
Tutto ciò si inserisce in un contesto economico caratterizzato da forti tensioni inflazionistiche e da un diffuso timore che ha fatto perdere fiducia sia alle imprese che ai consumatori. Ciò ha portato nel corso del 2021/2022 a ridurre la redditività del settore in confronto agli analoghi settori produttivi e lo possiamo notare dai GAP di prezzo, fra biologico e convenzionale, che si sono ridotti (fonte ISMEA).
Il sintomo, pur non essendo oggi così grave, va pertanto curato onde evitare che intacchi altri organi o funzioni. Tanto più in un momento storico in cui dobbiamo raggiungere il 25% della SAU UE, siamo intorno al 9% nell’UE e al 17,6% in Italia, e la nuova programmazione PAC porterà in dote nel periodo 2023-2027 un po’ più di 1 miliardo di euro destinato al biologico. Per questo occorre agire in modo olistico e sincrono con più strumenti cercando di intervenire su tutti gli attori coinvolti secondo un approccio di filiera. Non possiamo dimenticare che il settore è cresciuto sull’integrazione di filiera in quanto nella crescita del settore chi vendeva doveva preoccuparsi della disponibilità del prodotto e chi produceva doveva avere rapporti solidi e fiduciari con chi vendeva.
Il piano d’azione nazionale deve agire sui consumatori sollecitando la domanda di biologico e sul settore aumentandone efficienza ed efficacia tramite azioni coordinate di ricerca e sperimentazione e riducendo la burocrazia (purtroppo con il nuovo regolamento sta aumentando a dismisura). Occorre recuperare la voglia di fare filiera, i settori si devono parlare fra loro, per produrre meglio e maggiormente in sintonia con le esigenze dei mercati, e devono dialogare sempre più con i consumatori perché il biologico nasce come mercato e come fatto “consumeristico”. Questo diventa cruciale nel momento in cui la superficie aumenta, conseguentemente la disponibilità di prodotto e la necessità di collocarlo su un mercato che deve garantire una giusta redditività.
La filiera deve recuperare il gusto di progettare processi e prodotti in modo anche da garantire la giusta efficienza ad ogni “step” di filiera in quanto ognuno, lungo il processo produttivo, deve trovare una sua giustificazione economica al produrre. L’efficienza di processo è indifferibile perché oggi il prodotto biologico non deve più competere con il mero ed analogo prodotto convenzionale, ma piuttosto con prodotti caratterizzati da una qualche forma (vera o presunta essa sia) di sostenibilità ovvero non più convenzionali. A ciò si aggiunga che i mercati sono sempre più competitivi ed il consumatore è sempre più in difficoltà a premiare il bio con il prezzo per una situazione congiunturale che va al di là del biologico.
La terapia è, pertanto, un po’ più complessa e prevede un po’ più di tempo ed alleanze.
Fabrizio Piva
Gli apprendisti stregoni al capezzale del biologico
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Negli ultimi mesi molti “medici”, e anche qualche apprendista stregone, si sono avvicinati al capezzale del biologico per fare diagnosi e formulare terapie volte a sollevare le sorti del settore.
Il principale sintomo che ha preoccupato i più è il calo dei consumi in una congiuntura non certo favorevole: un calo del 4,9% nel 2021 sul 2020 e dell’1,9% a luglio 2022 sullo stesso periodo del 2021 quando il consumo dell’agroalimentare nel suo complesso ha visto un incremento dell’1,8%. Altri indicatori però sono positivi: operatori e superfici aumentano, anche se queste ultime un po’ meno rispetto ai principali partners EU, l’export a luglio 2022 è cresciuto rispetto all’anno precedente del 16% e con la nuova programmazione della PAC sono in arrivo tanti soldi.
Alcuni hanno raccomandato di spingere sulla comunicazione dei valori del biologico quando sono ormai più di trent’anni che il biologico è fenomeno di mercato e la penetrazione commerciale (fonte Nomisma) è dell’89%.
Per altri il prezzo, in un periodo di inflazione a due cifre, non è una variabile importante; infatti il canale dei discount ha fatto registrare un aumento delle vendite 2022 su 2021 del 13,8% e le referenze sono aumentate solo nei discount a differenza di Super ed Iper in cui sono diminuite.
Altri ancora che non è necessario produrre di più, ovvero aumentare la produttività, perché si produce più di quanto si consuma, quindi secondo questi cristallizziamo la situazione attuale con tutte le inefficienze del caso facendo fare al settore un balzo indietro di due decenni ed esponendo il settore “all’erosione” proveniente dai settori e dai prodotti “variamente sostenibili”.
Poi abbiamo letto che la diminuzione dei consumi deriva prevalentemente dal fatto che dopo la pandemia siamo tornati a consumare fuori casa ove il biologico è difficilmente reperibile. E’ sicuramente vero che si trova con difficoltà e che occorre diffonderlo maggiormente ma i dati ci dicono che nel 2022 il consumo domestico si è ridotto dello 0,8% e il fuori casa è aumentato del 53%.
Tutto ciò si inserisce in un contesto economico caratterizzato da forti tensioni inflazionistiche e da un diffuso timore che ha fatto perdere fiducia sia alle imprese che ai consumatori. Ciò ha portato nel corso del 2021/2022 a ridurre la redditività del settore in confronto agli analoghi settori produttivi e lo possiamo notare dai GAP di prezzo, fra biologico e convenzionale, che si sono ridotti (fonte ISMEA).
Il sintomo, pur non essendo oggi così grave, va pertanto curato onde evitare che intacchi altri organi o funzioni. Tanto più in un momento storico in cui dobbiamo raggiungere il 25% della SAU UE, siamo intorno al 9% nell’UE e al 17,6% in Italia, e la nuova programmazione PAC porterà in dote nel periodo 2023-2027 un po’ più di 1 miliardo di euro destinato al biologico. Per questo occorre agire in modo olistico e sincrono con più strumenti cercando di intervenire su tutti gli attori coinvolti secondo un approccio di filiera. Non possiamo dimenticare che il settore è cresciuto sull’integrazione di filiera in quanto nella crescita del settore chi vendeva doveva preoccuparsi della disponibilità del prodotto e chi produceva doveva avere rapporti solidi e fiduciari con chi vendeva.
Il piano d’azione nazionale deve agire sui consumatori sollecitando la domanda di biologico e sul settore aumentandone efficienza ed efficacia tramite azioni coordinate di ricerca e sperimentazione e riducendo la burocrazia (purtroppo con il nuovo regolamento sta aumentando a dismisura). Occorre recuperare la voglia di fare filiera, i settori si devono parlare fra loro, per produrre meglio e maggiormente in sintonia con le esigenze dei mercati, e devono dialogare sempre più con i consumatori perché il biologico nasce come mercato e come fatto “consumeristico”. Questo diventa cruciale nel momento in cui la superficie aumenta, conseguentemente la disponibilità di prodotto e la necessità di collocarlo su un mercato che deve garantire una giusta redditività.
La filiera deve recuperare il gusto di progettare processi e prodotti in modo anche da garantire la giusta efficienza ad ogni “step” di filiera in quanto ognuno, lungo il processo produttivo, deve trovare una sua giustificazione economica al produrre. L’efficienza di processo è indifferibile perché oggi il prodotto biologico non deve più competere con il mero ed analogo prodotto convenzionale, ma piuttosto con prodotti caratterizzati da una qualche forma (vera o presunta essa sia) di sostenibilità ovvero non più convenzionali. A ciò si aggiunga che i mercati sono sempre più competitivi ed il consumatore è sempre più in difficoltà a premiare il bio con il prezzo per una situazione congiunturale che va al di là del biologico.
La terapia è, pertanto, un po’ più complessa e prevede un po’ più di tempo ed alleanze.
Fabrizio Piva
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