“Ci auguriamo che i primi mesi del 2020 possano finalmente vedere approvata la nuova legge sul biologico. Una proposta nata ormai qualche anno, modificata più volte ed oggi giunta a una fase avanzata. Il biologico è un settore che risente di più delle questioni politiche e, anche per questo, ha bisogno di regole per consumatori e produttori perché fragile”. A dichiararlo è Massimo Fiorio della CIA nazionale durante l’iniziativa organizzata ieri a Fico dall’associazione nata in seno alla Confederazione Italiana Agricoltura di produttori bio, Anabio, dal titolo ‘Quali opportunità offre la nuova legge sul biologico”.
“Il biologico vive ormai da anni un momento positivo, i numeri lo confermano e le prospettive sono altrettanto buone”, aggiunge. “Per l’approvazione definitiva della legge tuttavia serve fare molto di più; si deve agire a 360° anche in termini di comunicazione spiegando meglio al consumatore il surplus di prezzo da sostenere per l’acquisto di un prodotto bio. C’è tanto da lavorare, in particolare sull’educazione al consumatore”, conclude Florio.
“Il mio timore è restare sommersi dalla burocrazia. La legge, necessaria, dovrebbe servire per riformare il settore, ma non deve essere vista come un modo per ridisegnare l’intero quadro”, ha dichiarato Fabrizio Piva, presidente e amministratore delegato di CCPB, intervenuto alla tavola rotonda. “L’ultima conferenza Stato-Regioni ha stabilito in un decreto il maggese di sei mesi; le considerazioni a riguardo le lascio fare a voi ma la vera domanda è: ha senso introdurre la rotazione agronomica se per legge si parla solo di colture principali? Poi c’è la questione aperta dell’acido fosforoso con tutto ciò che ne consegue. Insomma, una serie di tematiche da affrontare e che mi auguro non finiscano col riempire ulteriormente di scartoffie i produttori di bio”.
“Questa legge è ferma al senato da parecchio, troppo tempo. Come CIA auspichiamo che venga approvata al più presto perché riteniamo che questo settore sia strategico per l’agroalimentare italiano. Occorre una regolamentazione e una promozione efficace per un settore in cui manca una consulenza adeguata al produttore e non solo. Non va tutto bene, soprattutto per quanto riguarda l’export e, per questo, abbiamo bisogno di promozione”, ha chiosato a riguardo Cristiano Fini, presidente CIA Emilia Romagna.
I numeri del Bio
Il convegno è stato anche l’occasione per fare il punto dell’andamento del settore. “Negli ultimi anni in Italia le superfici e gli operatori bio aumentano così come le vendite. In particolare, nel 2018 l’area coltivata dedicata ad agricoltura biologica è di quasi 2 milioni di ettari (+2,6% sull’anno precedente), con un numero di operatori che superato le 79mila unità. Complessivamente, la superficie coltivata nel nostro Paese ad agricoltura biologica corrisponde al 13,1% dell’area destinata all’agricoltura biologica in Unione Europea e al 2,7% di quella mondiale”, ha spiegato Silvia Zucconi, responsabile market intelligence di Nomisma Spa.
Negli ultimi anni le vendite bio sul mercato interno mostrano una crescita costante, che non pare arrestarsi. L’Italia è il quinto mercato per dimensioni (4% delle vendite mondiali), preceduto da Stati Uniti (44%), Germania (12%), Francia (10%) e Cina (9%). Nel 2018, le vendite di prodotti alimentari a marchio biologico in tutte le tipologie di canali hanno raggiunto i 4,089 miliardi di euro, segnando un +5% rispetto al 2017 (a parità di perimetro), se si considera anche l’export tale cifra sale a 6,355 miliardi di euro.
Nei consumi domestici, a crescere è soprattutto la grande distribuzione (+6% anno terminante giugno 2019 su giugno 2018 – fonte: Nielsen) che complessivamente “drena” poco meno della metà delle vendite bio trainata dall’ampliamento degli assortimenti, dal progressivo incremento delle famiglie acquirenti.
Con una quota pari al 47% delle vendite totali del mercato, è proprio la GDO il canale privilegiato dai consumatori per gli acquisti biologici. Il secondo canale per incidenza è quello dei negozi specializzati in prodotti bio, che si attesta a 845 milioni di euro (21% del totale vendite bio). Novità importante da sottolineare il ruolo dei discount, dove l’incremento registrato è stato del 23,8% (anno terminante giugno 2019) grazie a una rimodulazione dell’offerta, ad un bisogno emergente del consumatore e al ‘supermercatizzazione’ di questo canale.
Le ragioni del successo del biologico
La crescita del mercato biologico è favorita dal progressivo incremento delle famiglie acquirenti: L’86% dei consumatori italiani ha avuto almeno una occasione di acquisto di un prodotto bio nel 2018 (fonte: survey Nomisma 2019) mentre cresce l’incidenza della spesa bio sul carrello alimentare, salita nel 2018 al 3,66% (mentre era al 0,65% nel 2000). Gli italiani scelgono il bio perché ritenuto più salutare (lo afferma il 52% degli intervistati), garanzia di maggiore qualità e sicurezza (47%) e per il suo essere più sostenibile per l’ambiente (26%). Il 76% dei consumatori, inoltre, dice di preferirlo Made in Italy.
Parlando di esportazioni, infine, Zucconi sottolinea un fatturato bio che ha sfiorato i 2,3 miliardi di euro nel 2018, registrando una nuova crescita (+10% rispetto al 2017), raggiungendo un ruolo rilevante nel paniere dei prodotti Made in Italy e portando l’Italia a secondo posto al mondo per export di prodotti biologici dopo gli Stati Uniti. Rispetto all’import, invece, Zucconi ha ricordato l’importanza del “monitoraggio dei prodotti in entrata a tutela del consumatore e del sistema produttivo nazionale, della conoscenza dei flussi per indirizzare il mercato e organizzare i controlli così come della gestione della complessità delle filiere, degli intermediari, dei regimi doganali e delle triangolazioni”.
“La crescita del bio non interessa negli stessi termini il settore dell’ortofrutta”, ha concluso Giovanni Dinelli, del dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari di Bologna. “Certo – ha sottolineato -, è un settore difficile ma è necessario fare uno scatto in avanti, affrontare nuove sfide, anche agronomiche. Occorrono prezzi competitivi e aumentare le rese altrimenti non potremo soddisfare la GDO. Non dobbiamo avere paura della tecnologia ma dobbiamo pensare ad una agricoltura pulita, moderna e quindi tecnologica. È ora di parlare di agroecologia, basata sull’adattabilità delle colture, sull’impiego proprio di tecnologie avanzate, sulla ricerca e sull’educazione del consumatore finale”.
Chiara Brandi