Il Masaf in occasione della giornata europea del biologico, lo scorso 23 settembre, ha presentato i dati inerenti le performance raggiunte dal settore bio nel corso del 2024. A voler sintetizzare i risultati presentati: il bio tiene ma non convince.I risultati sono coerenti con l’attuale politica agraria nazionale che contrasta il Green Deal, le azioni che hanno come obiettivo il cambiamento climatico e la sostenibilità di cui il biologico è parte. Se ci limitiamo ai “macronumeri”, la SAU ha raggiunto i 2.514.596 ettari con un incremento sul 2023 del 2,4%, l’incidenza sulla SAU nazionale è arrivata al 20,2%, era il 19,8% nel 2023, 7 Regioni superano la soglia del 25%, che rappresenta l’obiettivo UE al 2030 fissato dal Green Deal, e la zootecnia cresce ad accezione degli avicoli. Anche sul versante degli operatori, il 2024 ha visto un incremento del 2,9% facendo toccare 97.160 operatori bio totali con 87.042 agricoltori (+ 3,4% sul 2023). In termini di mercato ISMEA ha censito un valore degli acquisti nella GDO pari a 3,96 miliardi di euro con un incremento in valore del 2,9% ed in volume del 4,3%, 0,9% per l’agroalimentare complessivo sia in valore che in volume. L’incidenza dei consumi bio sul totale dei consumi agroalimentari è “incollata” al 3,6% con un aumento annuo pari allo 0,1%.
Sono “numeri” che attestano una sostanziale tenuta del settore ma che non testimoniano un cambio di passo o un’inversione di marcia frutto di scelte politiche che vanno in direzione del biologico. Se ci soffermiamo sull’incremento della SAU bio, è facilmente dimostrabile come l’incremento sia dovuto all’aumento della categoria dei prati-pascoli; i 60.350 ettari in più corrispondono ai quasi 60.000 ettari che derivano dal + 8,2% di quest’ultima categoria. Se sommiamo i prati-pascoli, ai terreni a riposo ed alle superfici a prato e a foraggere non coltivate che troviamo nella categoria delle colture permanenti e dei seminativi, quasi, se non oltre, la metà della superficie bio è dedicata a terreni improduttivi o a coltivazioni molto estensive che non alimentano l’offerta bio e sono notificate come biologiche più per intercettare gli incentivi comunitari e ottenere una rendita. Questo lo si riscontra ogni giorno sul mercato quando risulta molto difficile reperire materie prime agricole di origine nazionale e per alimentare la domanda si deve spesso ricorrere alle importazioni da Paesi terzi che, nel 2024, sono aumentate del 7,1%. Sul fronte dei consumi, anche analizzando la sola GDO che comunque rappresenta il 64,7% dell’intera domanda interna, è plastica la dimostrazione dell’impoverimento del settore. L’incremento in valore dei consumi è stato del 2,9% a fronte di un’inflazione alimentare (fonte ISTAT) del 2,3%, mentre quello in volume è stato del 4,3%.
Ciò significa che i prezzi sono diminuiti, infatti dall’analisi condotta da ISMEA sui “delta” di prezzo fra bio e convenzionale si nota come questi siano calati e come questo dimostri che chi ha “finanziato” la riduzione dei prezzi siano stati gli attori che sono più a monte della filiera. Il bio, in base ai dati della sola GDO, incide per il 3,6% (+0,1 rispetto al 2023) sul totale dei consumi alimentari ma, secondo NielsenIQ, in base ai dati complessivi di mercato il peso nei primi 4 mesi del 2025 era al 2,9%. Si tratta comunque di numeri piccoli i cui movimenti su base annua sono dell’ordine di qualche decimale di punto e che non “rendono giustizia” ad un settore che “muove” (dati Nomisma) più di 10 miliardi di euro, di cui quasi il 40% destinati all’export (dazi futuri permettendo!), oltre il 20% di SAU coinvolta e quasi 100.000 imprese dedicate ad un settore che, fra imprenditori ed addetti, interessa qualche centinaio di migliaia di persone ed un mercato la cui penetrazione ha toccato il 93%.
Il settore ha bisogno di qualcosa in più rispetto ad un logo bio nazionale; il logo bio, con l’indicazione Italia, esiste già dal 2009 quando il 100% delle materie prime agricole sono ottenute in Italia e non vi è necessità di ulteriori vincoli burocratici che sottenderanno ad un ulteriore marchio. Il mercato dei prodotti biologici è quello comune dell’UE che ha un logo ed un sistema di riconoscimento che ha favorito il settore biologico nazionale perché lo stesso non avrebbe potuto prosperare con un misero 3% dei consumi interni se non avesse potuto beneficiare del mercato UE.
Il Masaf invece di dispensare ulteriori balzelli burocratici ed un logo in più da gestire si impegni in campagne promozionali efficaci dimostrando maggiore coerenza con i principi ispiratori del biologico, sostenga e non ostacoli le politiche ambientali dell’UE di cui il biologico ne è parte integrante, aiuti le imprese agricole a rendere maggiormente produttivi i terreni e le colture bio in linea con le esigenze di un mercato che ha bisogno di prodotto italiano. Sposti gli incentivi dalla rendita a superficie a programmi di sviluppo collegati alla produzione ed alla produttività, prevenendo così anche le facili critiche che qualcuno muove all’insostenibilità del biologico
Le associazioni ed i gruppi di impresa, bio e non, siano meno accondiscendenti e un po’ più coraggiose nei confronti del decisore politico mettendo in evidenza le contraddizioni e l’inadeguatezza di certe misure che non vanno nella direzione di favorire il mercato dei prodotti biologici, ma contribuiscono a trasformarlo in un archetipo dell’agroalimentare che rischia di essere “superato” nell’immaginario del consumatore da altri sistemi che molto poco possono invidiare in termini di sostenibilità rispetto al bio.
Fabrizio Piva