Avocado bio? In Sicilia si può e con buoni risultati. Ma attenzione – ammoniscono gli esperti – non dappertutto. Da qui l’invito alla prudenza e a non farsi travolgere da facili entusiasmi. Bisogna scegliere con attenzione i siti destinati alla sua coltivazione perché la specie è molto esigente e delicata. Soffre il freddo più degli agrumi e non tollera picchi termici elevati anche di breve durata. Poi necessita di tanta acqua e di buona qualità. In quantità superiore a quella richiesta dagli agrumi. Sbagliato dunque pensare che dove possono vegetare arance e limoni – o dove è già stato impiantato con successo un
agrumeto – possa riuscire la coltivazione dell’avocado.
L’avocado è una coltura che alletta in molti visto l’exploit nei consumi con numeri che negli ultimi anni e nelle previsioni per il futuro sono a doppia cifra. “I cambiamenti climatici che si presentano già da alcuni anni inducono molti a pensare che in Sicilia sia in atto una tropicalizzazione del clima e che di conseguenza le coltivazioni tipiche dell’Isola possano essere soppiantate da quelle che prosperano nelle zone comprese tra i due tropici. Ma non è esattamente così: all’innalzamento delle temperature medie non si accompagna l’aumento delle precipitazioni e una minor differenziale termico tra giorno e notte”,
sottolinea Alberto Continella, docente di Arboricoltura all’Università di Catania e responsabile scientifico del progetto “Superavocado – Avocado biologico siciliano: superfood per la valorizzazione delle aree ionico-tirreniche”. Un progetto iniziato tre anni fa e volto a trasferire i risultati della ricerca in ambito aziendale e interaziendale finanziato (insieme ad altri sette in ambiti colturali diversi) con la misura 16.2 del Psr “Sostegno a progetti pilota e allo sviluppo di nuovi prodotti, pratiche, processi e tecnologie” che ha coinvolto il Di3A dell’Università di Catania con i responsabili scientifici, i docenti Alberto Continella e Giancarlo Polizzi, affiancati dalll’innovation broker Antonino Azzaro, agronomo, e nove aziende (“Ionica”, ente capofila, cooperativa Dal Tropico; Metaponto, Leonardi Maria, Lorenzo Vetrano e Green Life; la società DI.COMM., di logistica e commercializzazione; lo spin-off universitario Agriunitech s.r.l.).
L’avocado di Sicilia, attualmente copre una superficie limitata: mille ettari circa. Concentrati soprattutto nelle aree costiere della fascia jonica tra Catania e Messina e che si estendono sino alle falde dell’Etna (non oltre i 300 metri sul livello del mare). Nonostante l’Isola sia tra i principali produttori in Italia, riesce a coprire solo il 5% della domanda nazionale, con una produzione totale che, in base agli impianti attualmente produttivi, non supera 800 tonnellate all’anno. Legittimo, quindi, chiedersi perché non cercare di soddisfare la domanda – almeno quella del mercato interno – con la realizzazione di nuovi avocadeti. Ma la risposta dei docenti catanesi impegnati nel progetto di ricerca è un invito alla prudenza per evitare di incappare di frustranti insuccessi e nella perdita di cospicui capitali per gli investimenti. “Da escludere i suoli calcarei e le località dove la disponibilità di acqua per l’irrigazione è scarsa o la qualità è scadente per la presenza di sali. Bisogna poi porre anche molta attenzione alle temperature minime e massime visto che la specie soffre il freddo e molto di più il caldo”, ricorda Continella.
Si stima che i terreni sfruttabili nelle fasce costiere ionico e tirreniche possano raggiungere superfici di almeno 5 mila ettari,
consentendo il recupero e la valorizzazione di terreni abbandonati, un tempo coltivati a limone; e che il solo mercato italiano possa tranquillamente assorbire a regime, sulla base dei consumi attuali, tutto il potenziale della produzione siciliana.
Sebbene i terreni freschi e umidi del versante est dell’Etna risultino molto indicati alla coltivazione dell’avocado, anche qui si è registrato qualche caso limite: è bastato un giorno in cui la temperatura ha raggiunto 51 gradi per sterminare un intero campo. Con temperature di poco più basse s’è persa la produzione. Ecco perché l’Università di Catania ha testato una serie di sistemi volti ad abbassare la temperatura delle piante riducendo di conseguenza i danni da calore.
Positivo in questo senso l’uso di antitraspiranti già presenti in commercio. Nel corso del progetto – i cui risultati sono stati esposti nel corso di un convegno svoltosi lo scorso 17 giugno all’Università di Catania – sono stati valutati anche gli effetti di trattamenti fogliari ammessi in agricoltura biologica con specifici nutrienti in determinati stadi fenologici per valutare l’aumento delle classi di calibro maggiori.
Sotto osservazione poi la capacità di trattamenti con prodotti a base di micorrize – anche questi ammessi in biologico – allo scopo di migliorare l’assorbimento dei nutrienti dal terreno e, pertanto, la disponibilità di elementi minerali in grado di aumentare la resa produttiva delle piante.
Sul fronte varietale ci sono poi interessanti novità. Attualmente la cultivar più diffusa è la Hass che matura tra gennaio e febbraio. I test di coltivazione con altre varietà hanno suggerito che il calendario di commercializzazione si potrebbe facilmente ampliare rivolgendosi alla coltivazione della Bacon che matura a ottobre e della Lamb Hass e della
Reed per coprire i consumi primaverili (aprile- maggio).

Altro importante filone del progetto di ricerca ha riguardato la gestione delle malattie con strategie innovative ed ecosostenibili. Il primo step ha riguardato una sorta di “censimento” degli agenti patogeni che insidiano l’avocado. Coltura di cui si conosce poco anche dal punto di vista fitopatologico, considerata la sua recente introduzione negli ordinamenti produttivi della Sicilia. Di questo se n’è occupato Giancarlo Polizzi, ordinario di Patologia vegetale presso il Di3A dell’Università di Catania. “Cancri rameali, moria delle piante e marciumi dei frutti sono le evidenze fitopatologiche maggiori e sono tutti provocati da specie fungine che diventano particolarmente aggressive in condizioni di stress”, afferma il fitopatologo catanese. E continua: “Abbiamo valutato l’efficacia di interventi agronomici come potature di risanamento, impiego di nuovi corroboranti e innovativi mastici protettivi e di alcuni antagonisti microbiologici (Bacillus spp. e Trichoderma spp.) il cui impiego sulla coltura non è stato mai oggetto di sperimentazione”. I risultati sono incoraggianti: buona la risposta delle piante alla rimozione dei cancri e alla protezione dei tagli. E pure l’uso degli antagonisti microbiologici, analogamente a quanto avviene su altre colture come la vite,
potrebbe consentire di ridurre le infezioni sul tronco e nei frutti. Insomma le evidenze sperimentali inducono a pensare che si possano ridurre sensibilmente le infezioni con strategie di lotta che sono in linea con la legislazione europea rivolta ad un uso sostenibile del mezzo chimico e consentirebbe di produrre avocado anche in regime “biologico”.
“Ma finora i prodotti commerciali utilizzabili in agricoltura biologica e che abbiamo testato con efficacia sull’avocado non sono registrati per questa coltura”, osserva Polizzi. Si tratta di aspettare i tempi tecnici per l’ampliamento della casistica d’uso. E per questo già le aziende produttrici si sono messe in moto velocemente.
Infine, nell’ambito del progetto “SuperAvocado” si è indagato circa l’utilizzazione dei frutti di calibro troppo piccolo o con qualche macchia che non sono idonei per la commercializzazione. È nato così il primo olio di avocado siciliano estratto da un frantoio sperimentale installato all’interno dell’azienda capofila. “I più moderni protocolli di estrazione possono preservare al meglio le componenti qualitative dell’olio di avocado che si presenta ricchissimo di sostanze ossidanti con acidi grassi essenziali e ricco in vitamine A,D,E, lecitine e proteine”, spiega Laura Siracusa, ricercatrice dell’Istituto Chimica
Biomolecolare del Cnr.
Siamo, quindi, di fronte a un “super food” di alto pregio che potrà essere proposto come diversificazione delle attività agricole.
Angela Sciortino