Giambi (Agrisfera): La produzione di latte bio non sconta alcun gap rispetto al convenzionale

Giambi Agrisfera

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Innovazione tecnologica. È sul fronte della ricerca il dialogo che deve aprirsi tra metodo biologico e metodo convenzionale per Giovanni Giambi, direttore generale di Agrisfera, società cooperativa che, tra le varie attività, produce latte biologico per il gruppo Granlatte Granarolo. Ed è convinto che si possa essere produttivi e sostenibili producendo latte biologico, solo se si investe nell’innovazione.

“Abbiamo circa 1.250 ettari di terreni agricoli condotti con metodo biologico e circa 2.600 con metodo convenzionale, tramite lotta integrata. Rispetto alle produzioni agricole biologiche, la produzione di latte bio non sconta alcun gap rispetto alla produzione di latte convenzionale; quello che ha permesso tutto ciò sono gli investimenti in innovazione tecnologica”, afferma con sicurezza Giambi.

La conversione dalla produzione di latte convenzionale a latte biologico per Agrisfera è iniziata nel 2016.  “In quel periodo la produzione si attestava attorno ai trenta litri per capo, grazie anche e soprattutto all’innovazione tecnologica, oggi Agrifera è arrivata ad una media di produzione di 35 litri per capo/giorno, con punte massime di 40 litri nelle stalle dove l’operazione di mungitura viene gestita tramite robot”, riferisce.

“Chi non ha mai visitato una stalla di questo tipo crede tale mungitura sia una violenza nei confronti delle vacche, ma non è così – assicura Giambi – Infatti, questo tipo di mungitura (tramite robot), permette alle vacche in lattazione di decidere in piena autonomia cosa fare in ogni momento della giornata: se stare coricate, se bere, se mangiare, se passeggiare, se andare al pascolo o se farsi mungere, a seconda delle loro necessità”.

“Anche per le produzioni biologiche agricole sono stati fatti notevoli progressi, sempre con l’ausilio di innovazioni tecnologiche (vedi ad esempio agricoltura 4.0), soprattutto sul fronte del controllo delle infestanti, potendo le attrezzature eliminare meccanicamente le stesse sino a pochi centimetri dalla coltura”, spiega il direttore di Agrisfera. Quello che è accaduto fino ad ora, forse, è che i produttori del bio, negli anni, si sono un po’ “adagiati”, impegnandosi poco su investimenti destinati all’innovazione tecnologica. “Per le coltivazioni biologiche è fondamentale incrementare le produzioni ad ettaro per mantenere alto il valore aggiunto delle stesse”, riferisce Giambi.

Cruciale, nel caso della produzione del latte biologico, è il ruolo dei tecnici: “Ad esempio, la loro preparazione deve essere tale da sopperire al fatto che in un allevamento biologico l’uso degli antibiotici è ridotto davvero all’essenziale (max 3 interventi annui); inoltre devono individuare il momento migliore per la riproduzione delle vacche, dato che non si possono usare ormoni o altre sostanze simili come si fa, ad esempio, nel caso della produzione del latte convenzionale: per questo – aggiunge Giambi – i tecnici hanno dovuto affinare delle metodologie tese a migliorare, tramite l’alimentazione e il benessere animale, la venuta al calore della vacca perché l’ovulazione deve essere riconoscibile”.

“In aiuto ai tecnici, anche in questo caso, è venuta l’innovazione tecnologica già da tempo, con i podometri ed i collari, che tengono monitorato l’animale continuamente nelle 24 ore, segnalando eventuali situazioni di stress e anomalie nello stato di salute e nel suo comportamento durante la giornata. Il binomio tecnico preparato-innovazione tecnologica è fondamentale per lo sviluppo della zootecnia biologica”, fa sapere il direttore generale di Agrisfera.

Ma se la zootecnia biologica ha dei vantaggi, esistono anche dei contro. “Non tutti i produttori hanno la fortuna di avere grandi disponibilità di terreni – chiarisce Giambi – Nel nostro caso, dei 1.250 ettari circa destinati alla produzione biologica, almeno 350 sono destinati alla produzione di alimenti per le vacche. Questo è un enorme vantaggio anche dal punto di vista economico”. Diverso per chi questa possibilità non ce l’ha e deve ricorrere al mercato; a quel punto i numeri cambiano significativamente e viene a mancare la sostenibilità economica.

“Io credo che almeno il 70-75% dell’alimentazione di una stalla biologica debba essere autoprodotta, perché l’attività sia sostenibile; chi non può permetterselo ha di fronte a sé un vero ostacolo nella produzione di latte biologico”.

Ritornando alle produzioni agricole, “segnalo che mentre il mercato delle materie prime convenzionali è in crescita, sul piano dei prezzi da almeno 2 anni, quello del biologico invece è un mercato stabile; questo comporta che il margine lordo di un ettaro di terreno coltivato biologicamente, in questi ultimi 2 anni, è alla pari, o alle volte inferiore, a quello del convenzionale”, ragiona Giambi, che nella sua azienda ha entrambe le produzioni e ciò gli permette di fare confronti.

Nel 2016, quando Agrisfera ha avviato il bio, “il differenziale tra i prezzi delle materie prime del biologico e quelli del convenzionale era oltre il 60% (cereali) a favore del bio, con punte dall’80 al 120% (oleaginose e proteaginose). Oggi, nella maggior parte delle colture, il differenziale si è dimezzato. Bisogna rendersene conto e correre ai ripari per incentivare e aumentare la produzione in quintali per ettaro nel biologico”, avverte il direttore di Agrisfera.

Al contempo, però, per Giambi, il mondo del bio non può affidarsi ai soli  contributi: “Occorre incentivare in maniera massiccia l’innovazione tecnologica, e dimostrare che la produttività può essere elevata anche in questo ambito”, suggerisce ancora il direttore di Agrisfera. Che riflette anche più in generale sugli allevamenti: “È in corso una battaglia ideologica contro la zootecnia e soprattutto la zootecnia intensiva; io vorrei invitare le persone a visitare aziende zootecniche per constatare qual è il livello che hanno raggiunto sul piano del benessere animale sia sul fronte degli spazi che della gestione della mandria: in questo senso il progetto che sta portando avanti Granarolo è uno dei più interessanti”.

Giambi racconta come sono fatte le stalle nella sua azienda: “Gli animali d’estate possono scegliere se stare dentro o fuori e gli animali, quando di giorno si arriva a 38 gradi, stanno dentro per poi uscire nel tardo pomeriggio e passare fuori la notte e le prime ore del giorno nel bosco adiacente”.

Il direttore di Agrisfera ha una certezza: “Chi vuole bene alla propria azienda vuole molto più bene al proprio animale”. Questo non significa che tutte le aziende agiscono in questo modo, ma la stragrande maggioranza opera tenendo presente che il benessere dell’animale è un elemento cruciale e vitale per l’azienda stessa.

Chiara Affronte

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