Voglia di bio italiano all’estero

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Limoni bio di Scanzano Ionico a marchio Amaverde Bio e mele della Val Venosta con la coccinella sui banconi dei supermercati Coop Konzum e nei negozi ‘7 Eleven’ nel cuore di Stoccolma.

Gli svedesi sono grandi consumatori di prodotti bio, tra i primi al mondo, e in un soggiorno di qualche giorno fa in Svezia abbiamo avuto la possibilità di notare che l’Italia non è del tutto assente da questo importante mercato.

Non del tutto assente, appunto. Una soddisfazione, piccola però. Le potenzialità del biologico italiano, in Svezia come in altri mercati del Nord e dell’Est europeo, sono infatti sfruttate solo in minima parte. C’è un grande spazio da coprire.

Pensate che in tutto il Nord e il Nordest europeo la quota di mercato dell’ortofrutta italiana, sul totale delle esportazioni, non supera quasi mai il 6-7 per cento mentre Spagna, Olanda, Turchia, Germania persino, sono posizionate su percentuali ben maggiori, triple come nel caso della Spagna e dell’Olanda, se non doppie come nel caso della Turchia.

E c’è la Russia, che nelle località più avanzate, quindi Mosca e San Pietroburgo, ha scoperto il biologico e ha un grande desiderio di food italiano. C’è dovunque, nei nuovi mercati europei e in Russia, che oggi non vanno più considerati come marginali (rispetto al grande mercato tedesco o a quello inglese), una grande domanda di made in Italy che copre tutto il ventaglio dell’agro-alimentare, dal vino italiano (che è considerato soprattutto nella fascia top di gamma una volta occupata solo dai francesi) ai prodotti freschi.

E dentro questa domanda c’è lo spazio del biologico. Non è un caso che la Russia sia diventata in pochi anni uno dei mercati più importanti per Alce Nero: oggi i biscotti del marchio emiliano sono venduti in boutique alimentari di Mosca ma il futuro di un consumo più allargato è già cominciato.

Dunque, cari produttori bio, bisogna darsi da fare, attrezzarsi per essere in grado di esportare le nostre eccellenze perché lì, sui nuovi mercati esteri, ci sono margini sconosciuti al mercato italiano. L’Italia ha bisogno di aziende bio più robuste e l’internazionalizzazione offre l’opportunità per questa crescita.

Non servono miracoli. Gli strumenti ci sono. Chi non può sfondare da solo deve entrare in una rete finalizzata all’esportazione. All’estero ci aspettano, non esserci, di questi tempi, fa la differenza, può essere un peccato mortale o, se preferite, letale.

Antonio Felice

editor@greenplanet.net 

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