Tanta burocrazia e opportunità inattese per le aziende bio italiane che vogliono esportare in Corea

Corea del Sud incontro

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Quarta economia asiatica, la Corea del Sud vanta un interessante primato: è il principale mercato estero per il Made in Italy, quanto a spesa pro-capite. “Nel 2023 – ha spiegato Ferdiando Gueli, direttore agenzia ICE Seul nel corso dell’incontro dedicato al biologico in Corea organizzato da Nomisma – abbiamo raggiunto il record in termini di valore interscambio, che ha superato i 13 miliardi di dollari complessivi, con esportazioni per 8,3 miliardi e importazioni per 5. Nei primi mesi del 2024 c’è stata una flessione, dovuta alla congiuntura economica”.

In Corea del Sud il settore Bio è in crescita: tra 2017 e 2022 le superfici coltivate a biologico sono aumentate del +91% per rispondere alle esigenze di un mercato vivace. “Si tratta per lo più di aziende agricole di piccola dimensione – ha commentato – con produzioni di nicchia”.

Le aziende del bio italiane che vogliono esportare in Corea devono tenere conto di alcuni fattori chiave.

Il primo è che la ristorazione italiana è poco diffusa. “Seul – ha sottolineato Gueli – ha un numero limitato di ristoranti italiani di qualità, rispetto alle grandi città asiatiche. I coreani sono fortemente legati alla loro tradizione gastronomica, come siamo anche noi italiani. Questo ci spinge a puntare sulla ristorazione coreana per promuovere il nostro biologico. Fortunatamente le nuove generazioni sono più aperte, per questo noi lavoriamo su educational, eventi come la settimana della cucina, la comunicazione su canali BtoC. In una delle principali strade di Seul, abbiamo una vetrina permanete del Made in Italy, in cui possono presentarsi i prodotti italiani già presenti nel Paese”.

La struttura distributiva coreana prevede il passaggio attraverso un importatore. Nel retail dominano le grandi catene. I consumatori con maggiori disponibilità di reddito si rivolgono ai department store, che trattano il biologico, hanno spazi dedicati ai prodotti importati e praticano prezzi mediamente maggiori delle altre tipologie di supermercati. Anche l’e-commerce ha una buona diffusione.

Il biologico resta comunque una nicchia che pesa meno dell’1% sui prodotti importati. “Il mercato del bio in Corea è premium, di nicchia – ha spiegato Andrew Kim, importatore di Ged Corporation – e il consumatore ha un’esperienza limitata di prodotti bio. Li cerca perché li ritiene di qualità migliore, anche da un punto di vista della sicurezza. È una scelta personale piuttosto che ambientale. Il mercato è rivolto alle categorie più abbienti, ma il divario di prezzo considerato accettabile rispetto al convenzionale e del 15-20%”.

Per favorire le vendite di prodotti biologici, Ged Corporation incentiva la partecipazione a fiere da parte di delegazioni di buyer coreani. “Sono molto seguiti Sial ed Anuga – ha precisato – per questo ne consiglio la partecipazione soprattutto a produttori medio-piccoli, che possono approfittare di questa vetrina per raccontare la storia del marchio e della famiglia”.

Anche su questi valori hanno fatto leva due aziende che sono da tempo in Corea del Sud con i propri prodotti. La prima è Bio Eko, che produce grissini e prodotti da forno, che esporta in questo mercato dal 2018. “L’inizio è stato difficile – ha ricordato Marco Calderoni, export manager dell’azienda – a causa degli adempimenti burocratici, ma poi abbiamo avuto molte soddisfazioni. Siamo stati scelti perché la nostra è un’azienda familiare, con una storia da raccontare, che tratta solo prodotti bio, con ricette semplici e un pack interessante. Abbiamo un cliente presente sia nel mercato online che nelle cosiddette lounge, sale relax, dove si può passare del tempo, lavorare e mangiare qualcosa. Quando hanno inserito i nostri prodotti hanno realizzato contestualmente materiale di comunicazione mirato per invitare all’assaggio. Una curiosità: quando abbiamo rivisitato i nostri astucci utilizzando claim “fonte di fibre”, permesso in UE, in Corea è stato necessario coprirli, oltre che applicare un’etichetta in lingua”.

Anche Acetificio Mengazzoli si è scontrato con la burocrazia coreana. “La nostra è una realtà familiare – ha spiegato Marco Nodari, commerciale estero – che dal 1961 produce aceto balsamico, di vino e aceti di mela e frutta. Da inizio 2000 lavoriamo con Corea del Sud, sempre con stesso partner. Dopo qualche anno abbiamo avuto dei problemi per la certificazione perché non era più accettata l’equivalenza con quella europea, quindi per un certo periodo abbiamo avuto audit diretti dalla Corea.  Fortunatamente dopo qualche tempo la situazione è rientrata”.

Nodari ha sottolineato la grande differenza che c’è tra la regione metropolitana di Seul e le altre province. “Un quarto della popolazione vive in questa zona – ha spiegato – dove ci sono i ristoranti di qualità che erano la prima meta dei nostri prodotti. Poi ci siamo allargati anche ai ristoranti internazionali degli hotel, grazie anche al supporto del nostro partner commerciale, che ha una Academy dove insegna come utilizzare i vari prodotti. Infine siamo entrati in supermercati e department store.  Negli ultimi anni si è diffuso il consumo di aceto come bevanda. Si trovano sul mercato mix fatti con aceto e succhi frutta, ma con molti coloranti e aromi. La tendenza salutista ha portato ad aumentare i consumi dei nostri aceti bio, proprio con questo utilizzo. Devo dire che si consuma più aceto bevuto che come condimento”.

Elena Consonni

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