Sementi biologiche: un nodo cruciale per il futuro del biologico

Piva

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Il biologico ha necessità di materiale riproduttivo vegetale biologico, che per brevità e praticità definiamo semente, di buona qualità e ad un prezzo competitivo. Il tema è stato recentemente sollevato in un’intervista ad Agronotizie da parte dell’amico Lipparini, direttore di Assosementi. Innanzitutto, le motivazioni di Assosementi sono fondate, giustificate e del tutto condivisibili.

Il Reg. UE 848/2018 stabilisce che il materiale riproduttivo vegetale destinato alla produzione di vegetali e prodotti da esso derivati, diversi dallo stesso materiale riproduttivo vegetale, debba essere biologico. Da sempre, e da ben prima del Reg. 848/2018, è possibile accedere al meccanismo delle deroghe che consentono, a certe condizioni, l’utilizzo di materiale convenzionale; possibilità quest’ultima concessa fino al 31.12.2036. Sulla base della normativa UE, il nostro Paese ha legiferato, da ben prima dell’848 e da ultimo con il DM 15130 del 24.02.2017, per gestire il meccanismo delle deroghe e il funzionamento della banca dati sul materiale riproduttivo biologico. In aggiunta, lo scorso 19.07.2023 il MASAF ha predisposto il Piano Nazionale sulle Sementi Biologiche con lo scopo di favorire la produzione e una maggiore disponibilità di sementi bio, così come previsto dalla Legge 09.03.2022.

Di fatto, le sementi biologiche scarseggiano, quelle disponibili vengono lasciate inutilizzate nei magazzini e gli operatori che si sono impegnati nella moltiplicazione e nella selezione di sementi bio stanno seriamente pensando di abbandonare l’esperienza, con il risultato opposto a quello prospettato. Tutto questo accade nonostante la banca dati nazionale sia ben antecedente (almeno vent’anni?!) alla promulgazione del Reg. UE 848/2018 e l’Italia abbia costituito un esempio di funzionamento di una banca dati pubblica sulle sementi bio in UE. Il biologico, anche in coerenza con il metodo produttivo che lo caratterizza, ha necessità di semente di qualità in grado di ottenere piante più resistenti o tolleranti sia ai fattori biotici che a quelli abiotici. La normativa nazionale, ed in primis il Piano Nazionale, invece non stanno incoraggiando il settore biologico ad ottenere semente bio idonea, sia in qualità che in quantità, ai propri obiettivi. Piuttosto che concedere la possibilità di utilizzare incondizionatamente semente convenzionale, che esporrebbe il settore a seri rischi di credibilità, pensiamo che la normativa nazionale dovrebbe essere più incisiva e vincolante.

Per ogni specie, sulla base delle disponibilità, l’Autorità dovrebbe stabilire date limite oltre le quali non è più possibile ricorrere a semente convenzionale, contemporaneamente attivare il Piano Nazionale Sementi con incentivi rivolti prevalentemente alle ditte sementiere, ai moltiplicatori ed alle ditte costitutrici di materiale biologico, così da favorire l’ottenimento di semente di qualità a prezzi concorrenziali, e meno al funzionamento del “sistema” nel suo complesso e del CREA.

L’altro elemento che potrebbe spingere verso un maggior utilizzo di semente bio è la sua qualità. Da sempre abbiamo sostenuto che il biologico ha necessità di semente specifica ed idonea in sintonia con le sfide poste da un metodo di produzione che non consente determinati interventi “esterni”. Piante più resistenti alle fitopatie, in grado di meglio competere con le piante infestanti, più rustiche ed al contempo dotate di una maggiore resistenza alle mutate condizioni climatiche (siccità, sbalzi termici repentini, eccessiva luminosità e contemporanee ondate di calore, ecc.) renderebbero meno rischioso e più efficiente produrre secondo il metodo biologico, offrendo un prodotto qualitativamente migliore e, probabilmente, più redditizio per tutti gli attori della filiera, senza tradire i principi del metodo stesso.

Le sementi bio devono poter fornire, almeno, le medesime garanzie delle sementi utilizzate in agricoltura convenzionale. Abbiamo sempre ritenuto che la scienza fosse e sia fondamentale per raggiungere una piena sostenibilità. Nel concetto di scienza, e non è la prima volta che lo affermiamo, le acquisizioni ascrivibili alla genetica sono state spesso ostracizzate, quando il biologico avrebbe potuto giovarsi, e non poco, del genome editing, che non è transgenesi e le cui piante non sono analiticamente determinabili rispetto alle analoghe “convenzionali”.

Purtroppo, ormai l’argomento non è più di natura tecnica ma ideologico e, quindi, polarizzato e divisivo. Rischia di essere un caso chiuso ed il biologico non “un prodotto per tutti”.

Fabrizio Piva

Notizie da GreenPlanet

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