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Merita di crescere solo il Bio che non tradisce i valori etici
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Un’inchiesta pubblicata dalla testata indipendente online Irpinews mette in luce il lato oscuro dell’agricoltura bio: storie di braccianti immigrati, spesso irregolari, sfruttati nei campi tanto quanto avviene per la raccolta di prodotti convenzionali. Lo fa senza censure, riportando nomi, cognomi, azioni giudiziarie in corso e aziende coinvolte; scoperchiando un grande vaso di Pandora e colpendo al cuore un settore che riconosce i valori portanti proprio nell’etica e sostenibilità, ambientale quanto sociale. Si legge nell’articolo: “I casi di sfruttamento in agricoltura biologica si contano in molte parti d’Italia. Il punto è capire se questi casi sono episodi isolati o, invece, spie di una più ampia e preoccupante tendenza”.
La risposta a questo interrogativo non è semplice. “Francamente non vedo differenza tra agricoltura convenzionale e biologica: lo sfruttamento dei lavoratori rappresenta una piaga che non a caso abbiamo deciso di contrastare con l’inserimento della condizionalità sociale nella riforma della PAC. Questo strumento dovrà garantire che i fondi pubblici non vadano più nelle tasche di chi non rispetta i diritti”, ha commentato Paolo De Castro, eurodeputato e primo vice-presidente della Commissione Agricoltura e Sviluppo Rurale.
Dal canto suo la Federazione europea dei sindacati dei settori alimentari, agricoltura e turismo (EFFAT) fa sapere di sostenere la strategia Farm to fork ma – ammonisce – la transizione ecologica deve essere un’occasione per migliorare le condizioni di lavoro e non una minaccia.
Lo stesso articolo riporta anche le parole di un sindacalista che ha chiesto l’anonimato: “Alcuni imprenditori – asserisce – si interessano al bio in seguito alle azioni anti-caporalato di forze di polizia e magistratura, perché pensano che possa essere un modo per mettere in regola i lavoratori mantenendo l’azienda sostenibile dal punto di vista economico”.
Insomma, una questione davvero complicata che da inguaribili sostenitori del bio ci auguriamo possa trovare una soluzione, anche grazie agli strumenti messi in campo dalle Istituzioni, europee e nazionali. L’importante, ci sentiamo di sottolineare, che l’incremento della domanda legato alla GDO e ai discount non sia a svantaggio del “valore etico” del prodotto e, al contempo, l’aumento delle aziende agricole convertite al bio non sia spinto da motivi effimeri o dal falso mito del “guadagno facile”, proprio perché sostenuto da incentivi pubblici e buoni mark up di vendita.
Chiara Brandi
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