“Il residuo zero è una terza via, anche dal mio punto di vista, così come sostiene il professore Davide Spadaro, ma la direzione vera da intraprendere è quella di associare alla strada del residuo zero anche una modalità di coltivazione che punti all’autoproduzione di energia elettrica pulita e al risparmio idrico; noi, come Rivoira, lo stiamo facendo”.
Marco Rivoira (nella foto), imprenditore a capo della Rivoira spa, azienda leader nel settore della coltivazione e commercializzazione della frutta, è convinto di questo e anche del fatto che il residuo zero dia importanti garanzie: “Il residuo zero certamente garantisce un posizionamento sul fronte del prezzo intermedio in grado di offrire un’ulteriore scelta al consumatore”. Rivoira lo ribadisce, al di là del dibattito in cui si contrappone lotta integrata e organico, “perché fare residuo zero significa anche non perdere produzione, e questo aspetto non è irrilevante”. Infatti, la comunicazione verso il consumatore è molto più diretta: “Chi acquista l’organico, acquista un ‘pacchetto’; vuole un prodotto sano che ha caratteristiche complessivamente rispettose dell’ambiente”.
Ma, per Rivoira, il residuo zero è una terza via: “Quando si fa residuo zero non si ha mai la certezza di arrivare a compimento; per certi aspetti è anche più complicato del biologico – fa sapere – Noi siamo gli unici in Europa a fare residuo zero sulle mele fresche industriali; per il produttore il grande vantaggio sta nel fatto che, una volta iniziato il protocollo per il residuo zero, non avendo la garanzia di poterlo portare a compimento perché possono intercorrere numerose variabili – attacchi di nuovi infestanti, problematiche produttive – non si rischia mai la produzione perché può attivare il protocollo di lotta integrata”. È importante ricordare, infatti, che tra chi intraprende la strada del residuo zero a febbraio o marzo, “solo il 50-60% riesce a portarlo a compimento”. Oggi più che mai, dato che aumentano le variabili, e l’agricoltore in questo modo salva la produzione. Oltre tutto, sottolinea l’impnditore piemontese, “sono numerose le linee di pensiero secondo le quali il biologico potrebbe non essere sostenibile, nel futuro, per rispondere alle richieste di una popolazione in aumento”. Sembrano, dunque, in quest’ottica, non realistici gli obiettivi che l’Europa ha stabilito per il 2030 e che prevederebbero di aumentare i terreni coltivati a biologico del 30%. “Il mondo è sottoposto a molte complicazioni: una guerra o una situazione politica complicata possono mettere in discussione seriamente la produzione e creare scompensi sulle materie prime; le variabili non possono essere decise a tavolino e quindi avere più strade da percorrere, tra cui il residuo zero, può essere davvero una soluzione importante”, scandisce l’imprenditore.
C’è da dire che il consumatore di residuo zero, secondo alcuni studi, pare essere più attento a prodotti sani per la salute propria e dei suoi cari, mentre quello di biologico, in generale, tiene al tema ambientale. “Questo è il secondo step che deve essere fatto, e come Rivoira ce ne stiamo già occupando”, scandisce Rivoira. Infatti, bisogna a suo avviso considerare più aspetti: se è vero che il residuo zero permette un posizionamento intermedio e che non tutti i consumatori oggi hanno la possibilità di acquistare biologico, è anche vero che sempre di più gli agricoltori dovrebbero essere spinti a produrre in modo sostenibile. “Noi, ad esempio, siamo già sulla strada dell’autoproduzione di energia elettrica pulita, alternativa, perché vogliamo che il residuo zero sia anche progetto sostenibile”, fa sapere Rivoira. Lo stesso ragionamento può essere fatto sul fronte delle risorse idriche, sempre più scarse: “Noi utilizziamo una grande quantità di acqua in meno rispetto ad altri proprio perché abbiamo tutti degli impianti sotto chioma e non sopra chioma”. Quindi, in sostanza, se il residuo zero fa questo passo ulteriore, ecco che il consumatore acquista un prodotto più complesso e davvero etico.
Rivoira autoproduce energia al 55%, come azienda, e come famiglia ha fatto investimenti in questo senso tali per cui “oggi produciamo più energia pulita di quanta ne consumiamo; siamo uno dei pochi gruppi in Europa a farlo”. Questo, per l’imprenditore, significa “impatto zero”.
“L’Italia può vantare più varietà di metodi produttivi: ha sviluppato una cultura di lotta integrata eccellente negli ultimi 25 anni; se poi si riesce – senza andare a discapito della produzione stessa – a creare valore aggiunto facendo residuo zero, va benissimo, ma non è possibile, tuttavia, non preoccuparsi di produrre bruciando energia da fonti fossili”, attacca Rivoira, che aggiunge anche un’altra riflessione: “Occorre dire che esistono molte contraddizioni di cui poco si parla: talvolta dei camion di frutta vengono mandati indietro per il 2% di prodotto ammaccato. Dopo che hanno fatto 2mila km li si costringe a farne altrettanti sicuramente non facendo un bel regalo all’ambiente…”. Ecco, se la politica agevolasse investimenti sull’autoproduzione di energia sarebbe una politica davvero lungimirante.
Chiara Affronte