Recuperare l’anima per recuperare il mercato

Duccio Caccioni

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Dice il filosofo francese Robert Redeker che privato dell’anima l’uomo moderno non è diventato un uomo normale, ma un uomo conformista. Ed il  conformismo è il massimo rischio nella nostra società, con la banalizzazione continua dell’atto del consumo e prima ancora di quello della produzione. Con la standardizzazione, cose e atti perdono appunto l’anima. Più o meno quello che è successo al settore del biologico. Un settore che l’anima la aveva, che era alla continua ricerca di un senso: un senso magari  perso per effetto della omologazione al mercato, del conformarsi alle esigenze del marketing e dei distributori.

La situazione è diventata paradossale. Il biologico perde peso e consapevolezza proprio quando tutti parlano di sostenibilità ambientale, quando le paure e le consapevolezze che muovevano il movimento bio 30 o 40 anni fa stanno drammaticamente divenendo realtà. Quando si potrebbe parlare tranquillamente al grande pubblico di rigenerazione ambientale ed economia circolare, di una nuova maniera di alimentarsi e di rispettare i suoli e il territorio, lo si è smesso di fare. A cominciare dalle Associazioni del settore, piuttosto ripiegate su se stesse oppure senza la forza sufficiente per farsi sentire per davvero con un messaggio all’altezza dei tempi, specchio di un biologico in difficoltà. La comunicazione in materia di produzione organica ha assunto da tempo il conformismo di chi è supino al mercato. Vi sono invece grandi tendenze che si affermano in tanti campi della sostenibilità, tendenze che vanno abbracciate, divulgate, comunicate, cavalcate da protagonisti.
È tempo di recuperare il passato e di guardare al futuro, magari contestando e poi innovando. È tempo di recuperare un’anima. Che alla fine si accompagna ad un recupero dei consumi, al recupero di un mercato. Entrambi chiedono un biologico più forte, un biologico con l’anima.
Duccio Caccioni

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