Era il 13 gennaio quando, poco dopo le 9 e mezzo di sera, la Costa Concordia cominciava a imbarcare acqua, incagliandosi sugli scogli dell’isola del Giglio e reclinandosi successivamente su un fianco.
Siamo a febbraio e il relitto è ancora lì, nella stessa posizione di quella drammatica notte. Prima gli isolani hanno provato stupore e curiosità, hanno cercato di dare una mano, hanno fatto pure qualche affare con naufraghi e soccorritori che riempivano alberghi, locande e ristoranti. Adesso sono stanchi, di quel relitto non ne possono più e temono i danni che la sua prolungata permanenza può provocare all’immagine e all’economia turistica del Giglio.
L’impatto ambientale finora non è stato catastrofico per una serie di circostanze favorevoli ma, finché la nave è lì, sussiste il rischio che qualcosa di grave possa accadere. Il mare, fino ad oggi, ha "graziato" la Condordia ma, data la stagione, il maltempo è in agguato.
Oggi, 1 febbraio, è stato dato lo stop definitivo alla ricerca dei dispersi (ne restano ancora 15), il Codacons ha presentato una diffida alla Costa perché il relitto della nave sia rimosso in 30 giorni, l’amministratore delegato della Costa ha detto che spostare la nave dal punto in cui si trova è ‘un’impresa ciclopica’. ‘Non c’è conoscenza al mondo’ su questo tipo di intervento per navi simili, ‘e stiamo acquisendo i passi necessari per procedere’, ha aggiunto.
C’è una buona notizia: entro 24 ore inizierà il pompaggio del carburante, la cui dispersione in mare resta il pericolo numero uno. Ma le dichiarazioni della Costa sono sconcertanti. Quel relitto non può rimanere nel panorama di un’isola che è parco naturale e una perla del Mediterraneo.
Antonio Felice