“In Italia il settore bio va forte ma è considerato ancora troppo caro”, esordisce così il presentatore della trasmissione radiofonica on air la mattina del 18 marzo su Radio Capital. Citando un articolo del Corriere della Sera, i conduttori parlano di incassi record del comparto e della costante diffusione di “negozi che si occupano di cucina bio”.
Tra i fattori di crescita vengono citati la salubrità del prodotto e – a sorpresa – il “sapore migliore del cibo biologico”, accanto a considerazioni più generiche e a tratti stereotipate, ormai radicate nell’immaginario collettivo dei consumatori italiani.
Poi arriva puntuale la domanda: “Ma se compro bio, chi mi garantisce la salubrità di ciò che acquisto se il campo accanto è trattato con pesticidi e fertilizzanti?” La risposta – per una volta – centra il punto: la difficoltà nell’ottenere la certificazione è proprio garanzia di tutela da queste contaminazioni. Certificarsi è oneroso, come lo è l’intera produzione, ed è questa la ragione del divario di prezzo rispetto all’agricoltura intensiva.
Si citano studi scientifici che avvalorano i benefici del bio sulla salute, come quello dell’Università di Tor Vergata che evidenzia il suo impatto positivo sul microbiota intestinale (vedi news).
Fino a qui, un inaspettato spot per il biologico. Poi, però, sull’entrata della canzone, ecco che si torna sui costi di certificazione e sulla necessità di abbattere i prezzi per i consumatori (aiuto!). Al rientro in studio, il dibattito prende una piega… vivace: tra i messaggi arrivati dagli ascoltatori, c’è chi invoca la stagionalità come unica regola da seguire, chi sbandiera il Km0 come soluzione universale, chi demonizza gli imballaggi e chi arriva persino a diffidare del miele bio.
Il risultato? Il discorso viene letteralmente buttato in caciara, si perde il focus e si cade nella solita confusione.
E alla fine, anziché una comunicazione chiara e informata, restano i fraintendimenti e il sospetto che – per il biologico – la strada da fare sia ancora lunga. (c.b.)
Quando l’informazione sul Bio finisce in caciara
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“In Italia il settore bio va forte ma è considerato ancora troppo caro”, esordisce così il presentatore della trasmissione radiofonica on air la mattina del 18 marzo su Radio Capital. Citando un articolo del Corriere della Sera, i conduttori parlano di incassi record del comparto e della costante diffusione di “negozi che si occupano di cucina bio”.
Tra i fattori di crescita vengono citati la salubrità del prodotto e – a sorpresa – il “sapore migliore del cibo biologico”, accanto a considerazioni più generiche e a tratti stereotipate, ormai radicate nell’immaginario collettivo dei consumatori italiani.
Poi arriva puntuale la domanda: “Ma se compro bio, chi mi garantisce la salubrità di ciò che acquisto se il campo accanto è trattato con pesticidi e fertilizzanti?” La risposta – per una volta – centra il punto: la difficoltà nell’ottenere la certificazione è proprio garanzia di tutela da queste contaminazioni. Certificarsi è oneroso, come lo è l’intera produzione, ed è questa la ragione del divario di prezzo rispetto all’agricoltura intensiva.
Si citano studi scientifici che avvalorano i benefici del bio sulla salute, come quello dell’Università di Tor Vergata che evidenzia il suo impatto positivo sul microbiota intestinale (vedi news).
Fino a qui, un inaspettato spot per il biologico. Poi, però, sull’entrata della canzone, ecco che si torna sui costi di certificazione e sulla necessità di abbattere i prezzi per i consumatori (aiuto!). Al rientro in studio, il dibattito prende una piega… vivace: tra i messaggi arrivati dagli ascoltatori, c’è chi invoca la stagionalità come unica regola da seguire, chi sbandiera il Km0 come soluzione universale, chi demonizza gli imballaggi e chi arriva persino a diffidare del miele bio.
Il risultato? Il discorso viene letteralmente buttato in caciara, si perde il focus e si cade nella solita confusione.
E alla fine, anziché una comunicazione chiara e informata, restano i fraintendimenti e il sospetto che – per il biologico – la strada da fare sia ancora lunga. (c.b.)
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