Quest’anno mancherà miele bio italiano e anche miele europeo. Lo rivela Nicoletta Maffini, direttore generale di CONAPI, primo produttore di miele bio in Italia e in Europa. I prezzi non riescono a remunerare la mancanza di prodotto e si va sottocosto anche del 15%.
Solo per il miele di acacia biologico, principale prodotto del settore organic, il Consorzio Nazionale degli Apicoltori lavora con circa 25 mila alveari dedicati, su un totale di 110 mila sia bio che convenzionali.
“Negli ultimi anni – spiega Maffini – abbiamo assistito ad una perdita di produttività degli alveari a causa del cambio climatico. Se la produzione media di un alveare, raccolto da acacia, è di circa 20 kg anno per unità, quest’anno abbiamo avuto un raccolto di circa un chilo e mezzo per alveare. L’anno scorso di otto chili. In un solo anno, in pratica, la produzione di miele è crollata dell’82,5%, e rispetto alla produttività media ‘normale’, del 92,5%. Il calo drastico dei volumi è preoccupante perché l’apicoltura è una vera e propria sentinella ambientale, una cartina di tornasole che rispecchia in tempo reale la situazione climatica”.
Quest’anno, le api non hanno potuto lavorare per via delle gelate primaverili e delle condizioni meteo eccessivamente variabili di maggio e giugno che di fatto hanno danneggiato le fioriture di acacia e agrumi.
“Dubito che ci possa essere, entro la fine dell’anno, una ripresa – precisa Maffini -. Siamo quasi ad agosto ed i dati previsionali sulla raccolta autunnale per il miele di castagno, ci fanno aspettare una produttività di circa 12 chili per alveare. La stessa criticità produttiva la riscontriamo anche in altri Paesi europei come la Spagna, la Francia e perfino nei Paesi Oltreoceano. In questo contesto di vuoto di mercato, quello che preoccupa sono i prodotti fake che potranno maggiormente incunearsi a danno della filiera originale e dei consumatori”.
Prodotti fake, ad esempio, come il falso miele ottenuto con procedure non corrette. In pratica si toglie il prodotto dall’alveare prima che sia maturo per la lavorazione e lo si fa asciugare meccanicamente. In questo modo si spingono le api a lavorare di più per riempire di nuovo le arnie svuotate anzitempo.
“Ci sono anche dei prodotti sul mercato che rappresentano delle vere e proprie frodi – afferma Maffini – e che con il miele non hanno nulla a che vedere. Sono miscele alternative di zuccheri a cui vengono aggiunti i pollini del fiore da cui si vuole far derivare il miele. Per sopperire alla mancanza del miele di acacia italiano, di solito ci si approvvigiona in Ungheria, Romania e Serbia. In particolare CONAPI, per il marchio Mielizia, si rivolge alla filiera dei soci ungheresi”.
Una richiesta che quest’anno potrebbe arrivare anche al 50% del volume prodotto e commercializzato.
Nonostante tutto, al 30 giugno, il fatturato del Consorzio ha registrato una crescita del 6,3% passando dai 23,8 milioni di euro del 2020 (anno agricolo) ai 25,3 milioni di quest’anno.
“La crescita – chiosa Maffini – è data, in parte, dal fatto che al 30 giugno non è stato ancora contabilizzato il calo del prodotto raccolto in primavera e, poi, perché CONAPI fa anche altri prodotti oltre al miele, come ad esempio le confetture. Dubito che, allo stato attuale, il trend al ribasso dei volumi di miele, in corso ormai da un decennio, possa migliorare ma penso che si possa ancora puntare a una produttività, per gli anni a venire, di circa 10 kg per alveare. Peraltro, preoccupa il fatto che si faccia fatica, sul fronte distributivo, a fare assorbire ai retailer, l’aumento del prezzo che è di circa il 15% e che è dato anche dal fatto che mancando il miele, manca anche il nutrimento per le api che quindi vanno alimentate dall’apicoltore. E questo comporta un ulteriore costo”.
Mariangela Latella