Olio di palma sostenibile: scontro tra Nestlé e RSPO

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Nestlé è stata sospesa dalla Tavola rotonda sull’olio di palma sostenibile (RSPO) per averne violato il codice di condotta, dato che non ha presentato il rapporto annuale obbligatorio del 2016 sulle misure adottate l’anno precedente, e sui passi specifici previsti per l’anno seguente e a lungo termine verso la produzione o l’acquisto di olio di palma sostenibile certificato dalla RSPO. Inoltre, a Nestlé viene contestato il fatto che, sebbene le sia stato tempo per ovviare a questa inadempienza, la compagnia ha presentato il rapporto del 2017 rifiutandosi di indicare un piano temporale di attuazione degli impegni. Infine, a indicare difficili rapporti tra la multinazionale svizzera e l’organizzazione di certificazione dell’olio di palma sostenibile, nel 2017 Nestlé non ha pagato la quota associativa di 2.000 euro per l’adesione alla RSPO.

In seguito alla sospensione, Nestlé perde il diritto alla certificazione di sostenibilità del suo olio di palma, oltre al diritto di voto nelle assemblee generali della RSPO e alla possibilità di partecipare alle sue task force o gruppi di lavoro.

La RSPO ha chiesto a Nestlé di mettersi in regola entro il 20 luglio e le ha dato 30 giorni di tempo per comunicare la sua sospensione ai propri clienti, consentendo così loro di cercare alternative. Dopo questo periodo di 30 giorni, i certificati di sostenibilità dell’olio di palma di Nestlé cesseranno automaticamente di essere validi.

Nestlé ha risposto alla RSPO, dichiarando di rispettarne le decisioni ma sottolineando come vi siano ‘differenze fondamentali’ con la RSPO nell’approccio verso l’obiettivo di un’industria dell’olio di palma totalmente sostenibile. Nestlé afferma di voler perseguire la tracciabilità delle piantagioni e la trasformazione delle pratiche della catena di fornitura attraverso azioni interventiste, invece di affidarsi esclusivamente ad audit e certificati.

Inoltre, secondo Nestlé, ‘al fine di ottenere un cambiamento sostanziale nel settore, dobbiamo integrare il costo reale della produzione sostenibile nelle pratiche di approvvigionamento nella catena di fornitura, anziché concentrarci esclusivamente su meccanismi premium’.

(fonte: ilfattoalimentare.it

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