Se ne è parlato al SANA: sembra che il biologico si stia diffondendo anche nella ristorazione. È davvero così e, soprattutto, la tendenza è la stessa in tutta Italia? Per approfondire intervisteremo alcuni operatori del food service, società di distribuzione di alimenti e bevande che lavorano con il mondo del “fuori casa”, per conoscere il loro punto di vista su questo tema.
Cominciamo da Lorenzo Morelli, titolare di Morelli Food service, che ha sede in provincia di Trento.
– Che peso hanno i prodotti biologici presenti nel vostro assortimento e a quali categorie appartengono?
Attualmente il peso è ridotto, siamo a meno del 5% del totale dell’assortimento. Abbiamo cominciato con alcuni prodotti secchi, come pasta, riso, conserve di pomodoro, che tuttora rappresentano la parte predominante dell’assortimento, e ora abbiamo anche qualche prodotto fresco, come le uova.
– Quali tipologie di locali scelgono più frequentemente prodotti biologici?
Devo dire che nel territorio in cui operiamo ben poche attività ci richiedono prodotti biologici, si contano sulle dita di una mano. I nostri clienti di riferimento per queste referenze sono gli operatori della refezione scolastica. I CAM (Criteri Ambientali Minimi) per la ristorazione scolastica obbligano che i gestori delle mense servano prodotti biologici. Se si esce dall’obbligatorietà la richiesta di alimenti bio è davvero molto scarsa. Per esempio, alcuni dei “nostri” hotel sul lago tengono le bottiglie di olio bio a disposizione sui buffet in bella vista, perché contribuisce all’immagine della struttura, ma non integrano davvero gli ingredienti biologici nei loro menù. Ci sono delle eccezioni, per esempio un centro riabilitativo che è molto attento a quello che serve ai propri ospiti creando anche dei menù personalizzati e usa solo alimenti biologici, ma ha tariffe molto più elevate di un albergo tradizionale. È però un “mondo a parte” che non riflette la media del mercato.
– Quindi secondo lei è la questione del prezzo a frenare la diffusione del bio nella ristorazione?
Solo in parte. Certo, il differenziale di prezzo tra i prodotti biologici e quelli convenzionali non aiuta la loro diffusione nei ristoranti di fascia media, ma credo che il problema sia più che altro culturale. Lo vedo perché so bene che in Austria e in Germania, dove la cultura del biologico è molto più evoluta rispetto all’Italia e la filiera è meglio strutturata, è normale trovare prodotti bio al ristorante. In Alto Adige, che è più vicino a queste due nazioni non solo geograficamente, è più frequente rispetto al Trentino. Però non sono completamente pessimista: penso che con il passare degli anni anche da noi si diffonderà la cultura del bio e quello che le sto raccontando non sarà più attuale. Insegnare ai bambini a consumare biologico, così come accade da tempo nei Paesi di cui le parlavo, è un modo per contribuire alla diffusione di questi prodotti.
– Per cui inserire nelle scuole alimenti biologici può essere una strategia giusta?
Forse sì, anche se non sempre i genitori sono rigorosi nelle scelte alimentari per i figli a casa così come lo sono nei confronti di quelle della scuola….
– Avere dei prodotti bio in assortimento comporta delle difficoltà in più rispetto a quelli convenzionali?
Da un punto di vista gestionale, per trattare alimenti biologici è stato necessario dotarci di una certificazione che ci autorizza alla commercializzazione dei prodotti biologici, senza alcun tipo di manipolazione. Siamo tenuti a tenere un registro di carico/scarico degli alimenti biologici che gestiamo e un ente verifica due volte l’anno la regolarità di quello che facciamo. Credo che se non gestissimo anche la ristorazione scolastica, non varrebbe la pena per noi tenere il bio. Da un punto di vista strettamente operativo, invece, a volte ci sono delle difficoltà pratiche. Per esempio, con la riapertura delle scuole abbiamo faticato a soddisfare la domanda di uova biologiche. Il fornitore ci sta consegnando solo il 50% di quanto richiediamo, per cui dobbiamo integrare con quelle convenzionali (è permesso dai CAM). Questo problema può capitare con i prodotti freschi, la cui disponibilità dipende da fattori climatici o altre ragioni poco programmabili. Non succede, invece, con gli alimenti a lunga conservazione.
Elena Consonni