Il controllo dei fattori della produzione (irrigazione e nutrizione), la coltura fuori suolo e le serre verticali, possono aiutare a ridurre la presenza di nano e micro-plastiche in ortofrutta. Così Giancarlo Colelli (nella foto), ordinario di Impianti per le Operazioni Post-raccolta all’Università di Foggia nonché esperto mondiale di IV Gamma, commenta la ricerca dell’Università di Catania sulla scoperta di nano e micro-plastiche anche nella polpa edibile di frutta e ortaggi. Intanto in autunno parte un progetto che vede coinvolto Colelli, il Circul@bility (Re-thinking Packaging for Circular and Sustainable Food Supply Chains of the Future) che è una Cost Action finanziata dalla Commissione Europea, che mette insieme, in una rete internazionale, tutti gli attori della catena di produzione degli alimenti (al momento sono già 70) che lavorerà attivamente per armonizzare e integrare le conoscenze, condividere le informazioni, sostenere l’industria nell’attuazione di sistemi di imballaggio sostenibili, creare gruppi di lavoro autorevoli in grado di fornire raccomandazioni basate sulla conoscenza scientifica. Ma veniamo alle nano e micro-plastiche.
– Professore, quali sono i possibili impatti di questa scoperta sull’evoluzione del settore della IV Gamma?
“Innanzitutto, vorrei fare una piccola premessa. Sicuramente è drammatico, anche se purtroppo ormai noto, che il mondo sia stato ridotto in queste condizioni di grave inquinamento. Però i risultati che emergono dalla ricerca ci dicono che gli impatti delle nano e micro-plastiche presenti come inquinanti anche nella frutta e nella verdura sono molto minori rispetto ad altri alimenti come, ad esempio, le carni ed i pesci. La ricerca dell’Università di Catania è stata molto utile da questo punto di vista”.
– In che senso?
“Suonava strano che le micro/nanoplastiche fossero in tutte le matrici e non nei vegetali. Dopo questa scoperta si conferma il fatto che mangiare frutta e ortaggi, invece che altri alimenti, dà comunque la garanzia di assumere meno micro/nano-plastiche rispetto ad esempio, alla carne e al pesce”.
– Secondo lei è possibile eliminarle magari attraverso apposite linee di processo post-raccolta?
“Non credo si possano eliminare, se non attraverso complessi e sofisticati processi di estrazione ancora da mettere a punto e che sicuramente non lascerebbero il frutto o l’ortaggio allo stato consumabile”.
– Perché?
“Perché sarebbero molto invasivi e lo rovinerebbero rendendolo inadatto ad una vita commerciale”.
– Dovremo insomma convivere con questa dannosa presenza.
“In realtà, pur essendo componenti estranee al prodotto, c’è ancora un ampio dibattito sul livello di pericolosità. Per quanto riguarda la frutta e la verdura, stiamo parlando di concentrazioni infime, rispetto a quelle trovate in altre matrici alimentari. Anche perché non è detto, che tutte le componenti definite come micro o nano plastiche abbiano una qualche azione negativa diretta. Per alcune il nesso è stato purtroppo trovato ma per altre no; con questo non intendo minimizzare il problema ma probabilmente è il caso di rapportarlo alle reali dimensioni. A mio parere non c’è ancora un allarme nano plastiche nell’ortofrutta. Occorre tuttavia tenere alta l’attenzione”.
– Cosa fare?
“Possiamo sicuramente controllare maggiormente tutti i fattori della produzione, come si fa ad esempio con la coltura fuori suolo e in ambienti protetti come le serre verticali. In questo modo si può ulteriormente ridurre la presenza di questi inquinanti che, è dimostrato, avendo ormai ‘colonizzato’ il terreno e le falde, vengono da questi elementi ceduti ai microrganismi ed ai vegetali, entrando perciò nella catena alimentare”.
– Quali scenari si aprono con questa scoperta?
“La possibilità raggiunta negli ultimi anni di trovare ed osservare cose infinitamente piccole in maniera relativamente ‘facile’, ci farà sempre più trovare di fronte a sorprese di questo tipo. Saremo sempre più in grado di osservare cose inaspettate, dove le cerchiamo. Il fatto che ci siano non vuol dire che prima non ci fossero, ma che prima non le cercavamo o non eravamo in grado di trovarle. Quello che c’è da fare sicuramente con urgenza, per raccogliere risultati nel medio e lungo periodo, è un radicale ripensamento del nostro stile di vita con particolare riferimento all’uso di materiali plastici, ma non solo. Il settore agroalimentare non è il principale imputato da questo punto di vista, ma dovrebbe fare la sua parte. Noi nel nostro piccolo ci stiamo muovendo: in autunno avrà inizio questo Progetto Circul@bility, che è appunto una Cost Action finanziata dalla Commissione Europea, attraverso la quale metteremo insieme in una rete internazionale tutti gli attori della catena di produzione degli alimenti (compresi i rappresentanti della R&S, i consumatori finali, ed i decisori politici), che lavorerà attivamente per armonizzare e integrare le conoscenze, condividere le informazioni, sostenere l’industria nell’attuazione di sistemi di imballaggio sostenibili, creare gruppi di lavoro autorevoli in grado di fornire raccomandazioni basate sulla conoscenza scientifica. Al momento della rete fanno parte oltre 70 istituzioni pubbliche e private di oltre 30 Paesi”.
Mariangela Latella