Manca bio negli States, opportunità per l’Italia

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Sul mercato americano c’è scarsità di materie prime Ogm free e di alimenti biologici. Lo sottolinea il Financial Times in una lunga analisi aggiungendo che i grandi players dell’alimentazione sono attenti al fenomeno.

Per l’amministratore delegato di Cargill David MacLennan, riporta il giornale, è il momento di riconoscere e fare attenzione a questi trend. Attualmente gli Usa hanno un deficit di importazioni di prodotti bio di un miliardo di dollari, destinato ad allargarsi per la velocita con cui crescono le vendite.

Tra il 2007 e il 2014 le vendite di prodotti bio in Usa sono raddoppiate arrivando a 36 miliardi di dollari e quelle di cibi Ogm free sono addirittura triplicate a 15 miliardi di dollari, nota il giornale inglese, e questi numeri stanno suggerendo che non si tratta solo di moda ma di un vero e proprio trend di lungo periodo che ha fatto la fortuna in questi anni di distributori come Whole Foods. E che possono rappresentare una straordinaria leva di marketing per i prodotti italiani, dato che la nostra legislazione, com’è noto, è una delle più restrittive al mondo in fatto di ogm e una delle meglio posizionate per le produzioni bio.

Questa situazione di mercati è stata confermata anche dal Segretario di stato americano all’agricoltura Tom Vilsack a margine di un’intervista sui colloqui per l’accordo di libero scambio Europa-Usa Ttip: “Il biologico sta crescendo rapidamente in Usa ma è un settore relativamente piccolo con una domanda, però, in aumento e i distributori statunitensi non sanno se avranno una fornitura adeguata”. Piccolo per gli standard americani, ma con 36 miliardi di dollari decisamente sostanzioso per quelli italiani e di tanti altri stati europei.

L’Italia ha esportato cibi bio per 1,4 miliardi di euro nel 2014, in crescita del 12,7%. Dal 2008 la crescita è stata del 337%, secondo i numeri dell’Osservatorio SANA curato da Nomisma. La propensione all’export delle aziende bio è forte: il 24% del fatturato raggiunge i mercati internazionali, a fronte di un 18% medio delle aziende agroalimentari italiane. C’è tutto da guadagnare. 

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