La comunicazione ecologica migliora la vita

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Quadretti quotidiani di vita lavorativa: ‘Sai che ti dico? Appena posso gliela farò pagare con gli interessi!’

‘Eh sì, la sua direzione non vale proprio niente. Come fa una persona così scadente a occupare un posto tanto prestigioso?’. E ancora: ‘Non me ne va bene una …avrò paralizzato tutta l’azienda con la mia svista’. Altri quadretti in casa: ‘Non so come dirglielo, mi vergogno da morire…’, oppure: ‘Quando lo vedo mi sale il nervoso, senza che lui faccia niente!’

Sentimenti di tutti i giorni. Relazioni ordinarie con vissuti ripetitivi, in cui la sensazione è di lasciarseli vivere addosso, senza quel poco di attivismo nel volerli trasformare né un minimo di riflessività per volerli un po’ avvicinare, ascoltandosi.

NON SOFFOCARE LE EMOZIONI

Dagli anni ’90 e grazie ad alcuni studiosi divulgatori, sull’argomento delle emozioni, dobbiamo tutti molto allo psicologo statunitense Daniel Goleman, che ha imposto alle scienze e all’opinione pubblica il concetto di ‘intelligenza emotiva’ (QE), fino ad allora materia sconosciuta. Si conosceva la nobile intelligenza logica e numerica che veniva di prassi misurata come quoziente di intelligenza (QI), ma di sicuro le emozioni erano considerate ancora come universi minori, rispetto ai pensieri e alle azioni. Rabbia, disgusto, paura, tristezza e gioia sono le emozioni base che in tutto il pianeta, indipendentemente dalle latitudini, tutti noi viviamo e soffriamo.

E non sono esperienze isolate, pure, bensì piani interconnessi dove si mescolano con parole, azioni, culture. All’insorgere di una emozione durante il lavoro e in famiglia, noi adulti possiamo:

a) accoglierla ed esplorarla, cercando di non buttarla via o soffocarla, un passo assai difficile e complesso; b) esprimerla, raccontarla, mostrarla, inscenarla nel bel mezzo del palcoscenico della vita di prossimità; c) agirla anche senza controllo, a volte sbattendola in faccia all’altro, per poi cercarne una qualche riparazione con la persona implicata; d) animarla, trasformata nelle forme più diverse, quali la cultura, il benessere, la contemplazione. Il vissuto emotivo noi adulti non sappiamo dove stia di casa, perché abdichiamo facilmente preferendogli le azioni, il fare, esperienza molto più fluente e compatibile. Anche la sana molla di incontro con l’altro, nel gruppo sociale (che si può chiamare conformismo o omologazione, ma anche comunitarismo e socializzazione) ha l’effetto di smorzare il vissuto emotivo e relegarlo a voce lontana e sopita che alberga dentro di noi.

INTELLIGENTI NEI SENTIMENTI

Goleman ha visto giusto. Molte sue intuizioni ci possono facilitare un transito dove ricercare maggiore sensibilità, sentimento, che vuole dire sentire quello che diciamo e quello che facciamo. Alcune idee in merito:

• essere autoconsapevoli, osservare se stessi e riconoscere i propri sentimenti e la relazione tra pensieri, sentimenti e azioni;

• controllare i sentimenti, colloquiare con se stessi (dialogo interno e tacito) allo scopo di cogliere messaggi negativi come le autodenigrazioni, trovare modi di controllo delle paure e delle ansie;

• controllare lo stress, sperimentare metodi di rilassamento e di autoaccoglienza;

• essere empatici, comprendere i sentimenti e le preoccupazioni altrui assumendo il punto di vista dell’altro;

• essere aperti, incoraggiare aperture, costruire fiducia nei rapporti e ridurre le forme di giudizio, interpretazione, proiezione;

• autoaccettarsi, sentirsi orgoglioso di sé, considerarsi in una luce positiva, riconoscere punti di forza e debolezza, esser capaci di ridere di sé;

• rinforzare se stessi, affermare i propri bisogni, sentimenti e possibilità.

LA FORZA DELL’ASCOLTO

Una forma base di orientamento alle emozioni è data dall’ascolto attivo, quella capacità di percepire non solo le parole ma anche i pensieri, lo stato d’animo, il significato personale più profondo dell’altro (Rogers, 1983); l’ascolto attivo è una forma alta e più ampia di ascolto:

• ascolto, silenzio e non interruzione dell’altro;

• ascolto col corpo, partecipando con mimica, postura, suoni vocali (mhm, ah);

• inviti calorosi, incoraggiamenti non giudicanti (raccontami, dimmi);

• accoglienza non giudicante, fondata sulla comprensione nei panni dell’altro, riducendo giudizi, opinioni, consigli e aumentando altresì il riepilogo, il tentativo di calarsi nel momento dell’altro, facoltà chiamata anche “rimando” o “riformulazione”.

LA PAROLA ORGANICA

Parola organica è il tipo di comunicazione verbale che cerca di non soffocare le emozioni. Il termine si collega al fatto che un discorso, una confidenza partono dalla pancia, dall’incertezza del sentimento, sospendendo le certezze dei pensieri e delle ragioni. ‘Sono tesa tanto da tremare, mi tremano le labbra e ho un gran senso di insicurezza, come se mi trovassi su un burrone’. Oppure: ‘E’ come se fossi su un veliero guidato da pirati che fa rotta su un’isola sconosciuta’.

Ecco, nella parola organica ricorriamo al vissuto, usiamo paragoni e metafore: è il campo della poesia. Ma come fare per entrare nella parola organica? Non è per niente automatico. E’ sufficiente però dare peso alle sensazioni nel corpo (leggerezza, caldo, tremore, ecc.), cioè prestargli più attenzione, amplificando l’udito al nostro interno (un grande orecchio rigirato dentro). Così possiamo captare piccoli movimenti dell’essere e trasmetterli tramite la parola. Ultima raccomandazione, come garantirsi un ascolto giusto? La parola organica va condivisa con persone di fiducia o con alta stima.

DIECI ERRORI DA EVITARE

Non ingoiare le emozioni, non nasconderle, è frutto di un lavoro su di sè. Con la comunicazione ecologica si fa pratica di tecniche di comunicazione ma al tempo stesso di esperienza sensoriale corpo-mente. Un lavoro piuttosto complesso. Un lavoro che schiude alla formazione continua, all’auto miglioramento, alla crescita personale. Ma vediamo i classici errori che possiamo già incominciare a focalizzare ed evitare:

1. Parlare solo noi. Senza riprendere fiato, per molti minuti, senza preoccuparsi dell’altro, senza dargli lo spazio che merita.

2. Non guardare l’altro. Guardare dappertutto tranne chi ci sta di fronte a pochi centimetri dal nostro naso.

3. Ignorare i segnali: sguardo, gestualità, postura, di chi ci sta di fronte e ancor di più i nostri propri.

4. Abbonarsi alle critiche distruttive. Attenzione, a volte sono indispensabili, occhio però a non farle diventare l’unico modo per esprimersi.

5. Il parere dell’altro non ci interessa. Criticare o proporre senza chiedere mai direttamente il punto di vista dell’altro.

6. Monotono e senza ritmo. Chi ci ascolta ha un’autonomia di alcuni brevi secondi, sta a noi catturarne l’attenzione cambiando tono e ritmo, movimentando così la conversazione con piccole misure concrete.

7. Occhi, mani e postura spenti. La comunicazione verbale è il trenta per cento, quella non verbale il settanta per cento. L’ingessatura di occhi, braccia e corpo corrisponde a dialoghi statici, pensieri bloccati, punti di vista fissi e limitati. Occhi, mani e postura rappresentano il miglior vassoio con cui porgere la parola. Un irrinunciabile potenziamento.

8. Sentimenti estremi. Ovvero, credere di non farcela mai o di essere invincibili.

9. Criticare senza mai apprezzare.

10. Fare solo discorsi generali e astratti con pochissimi spunti su cose concrete (cosa, come, chi, quando, dove). Il Benessere passa anche da queste cose dentro di noi e che sono così fortemente in relazione con gli altri e l’esterno. Buona comunicazione!

Pino De Sario

direttore Scuola Facilitatori,

psicologo sociale e formatore

www.scuolafacilitatori.it

(fonte: Flora – L’Aromatario)

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