Se tutte le superfici agricole fossero coltivate con metodi biologici, le emissioni di CO2 causate dall’agricoltura potrebbero ridursi del 23% in Europa e del 36% negli Usa.
Lo dice uno studio pubblicato nel 2013, diretto da Andreas Gattinger (FiBL, Istituto di ricerca per l’agricoltura biologica) e portato avanti da un gruppo di ricercatori internazionali – che ha esaminato i risultati di 74 studi internazionali che hanno paragonato gli effetti sul terreno delle coltivazioni biologiche e di quelle convenzionali – il quale ha dimostrato che l’agricoltura biologica permette di fissare nel terreno quantità di carbonio significativamente superiori, con ciò offrendo un importante contributo per frenare il riscaldamento globale.
Gli autori hanno inoltre calcolato che ciò corrisponderebbe a circa il 13% della riduzione complessiva necessaria per raggiungere gli obiettivi climatici fissati per il 2030.
A ciò si aggiungono i risultati dello studio ‘Enviromental Impact of different agricultural management practices: conventional versus organic agriculture’, apparso sulla rivista ‘Critical reviews in plant sciences’, realizzato dai ricercatori guidati da Maurizio Paoletti del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Cornell negli Stati Uniti: ‘I terreni gestiti con il metodo bio hanno una maggiore capacità di sequestrare CO2 e di trattenere acqua, con conseguente miglior rendimento in condizioni climatiche di scarsità di precipitazioni’.
In concomitanza con l’inizio della conferenza COP21 di Parigi (30 novembre – 11 dicembre) le associazioni del biologico AIAB, Associazione per l’Agricoltura Biodinamica e FederBio (Federazione Italiana Agricoltura Biologica e Biodinamica) hanno alzato l’attenzione sul tema del clima e sul forte impatto che l’agricoltura intensiva ha giocato nei decenni passati, evidenziando la necessità di promuovere e adottare sempre più un metodo di produzione innovativo e al tempo stesso rispettoso dell’ambiente, in tutte le sue declinazioni.
‘Come abbiamo dimostrato con la Carta del Bio in Expo, il modello agricolo e alimentare biologico è la risposta più efficace alle sfide del futuro in quanto capace di conciliare la tutela dell’ambiente, la salute e la nutrizione adeguata della popolazione con un’economia rurale equa e migliore’, sottolinea Paolo Carnemolla, presidente di FederBio.
‘Questo anche perché le tecniche di agricoltura e allevamento biologico possono concretamente contribuire alla lotta al cambiamento climatico e, comunque, assicurano migliore resilienza all’agricoltura, soprattutto se si utilizza la biodiversità locale. L’Italia è già un Paese leader per il biologico, deve quindi avere il coraggio di fare del biologico il proprio modello agricolo e alimentare e proporlo quale strategia globale anzitutto in occasione della conferenza di Parigi’.
‘Non si scappa – sottolinea Vincenzo Vizioli, presidente di AIAB – il modello biologico è l’unico modello agricolo in grado di salvare questo pianeta dai cambiamenti climatici. E’ la biodiversità, cuore dell’agricoltura biologica, l’elemento di vero contrasto ai cambiamenti climatici. Non possiamo più aspettare, dunque. E’ giunta l’ora di cambiare passo.
L’Italia, paese leader del settore, deve avere il coraggio di spingere il cuore oltre l’ostacolo e assicurare al bio il giusto sostegno in termini economici e di sicurezza. C’è bisogno di aiuti economici, ma anche di una normativa seria e rigorosa che non dia più voce alle ambiguità. Il cambiamento planetario può partire dal nostro Paese e Parigi è un’ occasione imperdibile’.
‘I terreni biodinamici sequestrano almeno il 15% in più di carbonio organico rispetto a quelli coltivati con l’agricoltura convenzionale. Si tratta di un vero e proprio servizio che viene fornito al contrasto dei cambiamenti climatici’, afferma da parte sua Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’Agricoltura Biodinamica.