L’Italia è al comando della classifica europea delle produzioni certificate, che crescono a un ritmo sostenuto che non ha pari in nessun altro Paese UE. Con il riconoscimento dell’Igp alla Pescabivona agrigentina pochi giorni fa, i marchi Dop e Igp italiani sono volati a quota 264. Francia e Spagna si fermano rispettivamente a 207 riconoscimenti e a 162. Ancora più dietro la Germania, con 99 prodotti a denominazione, e il Regno Unito con 45 tra Dop e Igp.
Questo primato conferma che il rapporto tra territorio e prodotti alimentari tipici di qualità è nel nostro Paese straordinario ma va alimentato correttamente, promuovendo anche, in questo segmento di prodotti, il biologico e la sua cultura. I prodotti italiani certificati hanno un fatturato al consumo che si avvicina ai 13 miliardi di euro l’anno, di cui il 35 per cento legato all’export. Ma questo giro d’affari potrebbe crescere molto di più: basterebbe da una parte potenziare gli strumenti di promozione e marketing a sostegno delle nostre Dop e Igp ancora sconosciute e dall’altra intensificare la lotta alla contraffazione.
Oggi, infatti, il 97 per cento del fatturato complessivo del paniere Dop e Igp italiano è legato esclusivamente a una ventina di prodotti: Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Aceto Balsamico di Modena, Mela Alto Adige, Prosciutto di Parma, Pecorino Romano, Gorgonzola, Mozzarella di Bufala Campana, Speck Alto Adige, Prosciutto San Daniele, Mela Val di Non, Toscano, Mortadella Bologna, Bresaola della Valtellina Igp e Taleggio. Purtroppo, alcuni di questi prodotti famosi hanno componenti importanti non naturali e tantomeno biologiche.
Un solo esempio: il Parmigiano Reggiano e altri formaggi sono costituiti molto spesso da compononti alimentari provenienti da allevamenti i cui animali sono nutriti con soia transgenica di provenienza cinese o americana. Una realtà di cui si ha paura di parlare.