“Creiamo filiere sicure all’estero e diventiamo un grande hub internazionale del bio”.
E’ il messaggio suggestivo di CCPB partito da Biofach e diretto al settore biologico italiano. Lo ha lanciato, attraverso GreenPlanet, Fabrizio Piva, presidente e amministratore delegato dell’ente capogruppo di 5 società presenti nel Mediterraneo, riconosciuto come organismo di certificazione equivalente in 49 Paesi del mondo e primo organismo in Italia ad aver ottenuto il riconoscimento per operare in conformità alle legislazioni nazionali sul biologico di Stati Uniti, Giappone e Canada.
“Il biologico è sempre più un settore e un mercato globali – sottolinea Piva -. Il consumatore acquista un prodotto perché è bio, poi magari guarda anche se è italiano, ma vince il bio sull’origine, perché nella testa del consumatore il biologico è qualcosa di diverso. Questo ci porta ad affrontare il tema delle materie prime perché l’Italia può disporre di maggiori quantità di prodotti biologici tali da soddisfare le richieste del mercato solo se può disporre di materie prime sicure anche quando provengono dall’estero”.
“Come in altri settori – precisa Fabrizio Piva – anche nel biologico siamo dei grandi trasformatori ed esportiamo il 45% di quanto produciamo. Possiamo continuare nel trend di crescita che ci caratterizza solo se abbiamo le materie prime. Chi è dentro alle cose del biologico, sa bene che ci sono per esempio mangimifici che non arrivano a fine mese perché manca la materia prima. Ma anche in generale, il reperimento della materia prima sta stressando il settore”.
Cosa fare? La risposta del dirigente di CCPB è chiara: “Cerchiamo di risolvere il problema all’origine, creando all’estero, nei Paesi che le materie prime le hanno, una produzione sicura, garantita, certificata”.
Il problema ha aspetti anche culturali non secondari. In certi Paesi infatti i produttori di materie prime non hanno la consapevolezza che producendo bio sicuro possono trovare acquirenti che gli offrono il doppio di quanto ottengono oggi da una produzione convenzionale. Si tratta di dimostrarglielo con i fatti, con contratti in cui il trasformatore italiano garantisce un prezzo di acquisto più alto per avere un prodotto sicuro che poi, trasformato e finito, rivende con soddisfazione sul mercato internazionale. Un esempio da Paesi che hanno produzioni estensive di mais: oggi un prezzo corrente per un quintale di mais in quei Paesi può essere di 16 euro, un mais biologico ottenuto negli stessi Paesi con le migliori tecniche produttive a disposizione potrebbe valere 35-40 euro a quintale.
In questa direzione, il lavoro può essere enorme ma grandi sarebbero anche le prospettive. (a.f.)