Abbiamo ritenuto opportuno prenderci qualche giorno di riflessione in merito a quanto emerso dalla ricerca di SWG, avente ad oggetto le percezioni e la propensione all’acquisto di prodotti bio tra i consumatori europei, presentata lo scorso 7 maggio a Tuttofood nell’ambito di un evento organizzato da Assobio. Ne abbiamo dato conto in sede di cronaca nell’immediato (vedi news), ma ci siamo riservati di tornarci ora perché i risultati sono al contempo interessanti e preoccupanti.
Analizzando le caratteristiche dei prodotti biologici primeggia naturalità (48%) e salubrità (43%), come del resto anche in analisi precedentemente condotte da Nomisma, ma al terzo posto compare il costo (26%), in cui spicca il 39% della Francia.
Lascia un po’ perplessi che il carattere della sostenibilità raggiunga solo il 23%, con l’eccezione di Germania (36%) ed Italia (34%), testimoniando quanto da noi più volte rimarcato
che il bio ha da tempo perso il ruolo guida nel campo della sostenibilità. Analogamente il concetto di “controllato” raggiunge solo il 23%, per l’Italia il 32%, quando stiamo parlando del prodotto agroalimentare più controllato e garantito in assoluto. Sorprende che il concetto di bontà e sicurezza raggiungano solo il 14%, quando negli ultimi decenni i prodotti biologici si sono distinti per ricerca delle caratteristiche organolettiche e per garanzia di sicurezza raggiungendo risultati paragonabili alle migliori marche. Già questi primi risultati denotano che negli ultimi anni i prodotti biologici hanno perso l’appeal verso il consumatore sia in termini di caratteristiche concrete di prodotto che di immagine percepita.
Passando poi ad analizzare il rapporto che il consumatore intrattiene con i prodotti biologici, scopriamo purtroppo che per il 75% dei consumatori europei è difficile capire se un prodotto è effettivamente biologico e questo si abbina al fatto che il 49% non si fida della certificazione e, quindi, per il 39% non vi è alcuna differenza fra prodotti biologici e convenzionali e per il 41% il bio è solo una moda.
Potremmo concludere che siamo alla debacle qualunquista e che decenni di piani europei, nazionali e perfino locali con miliardi di euro spesi per la promozione del consumo di prodotti biologici non hanno lasciato una grande eredità. Non è da oggi che denunciamo che le politiche dedicate al biologico sono sempre state sbilanciate in modo miope verso il sostegno della produzione e poco verso la promozione dei consumi che avrebbe sostenuto la produzione in modo più duraturo.
Come “ciliegina sulla torta” arriva l’analisi dei driver di acquisto dei prodotti alimentari ove i fattori determinanti, sia al primo posto che fra i primi tre ed anche fra i primi cinque, sono in ordine di importanza il prezzo, la bontà e il bell’aspetto. Il Paese di produzione si colloca al quarto posto ed il biologico è stato indicato al primo posto solo nel 6% dei casi a pari merito con l’indicazione che provenga da una filiera sostenibile. Il biologico si colloca fra i primi 5 criteri di scelta per il 25% di consumatori in Italia, il 22% in Germania, il 18% in Francia ed il 17% in Spagna. Potremmo arguire che stiamo tornando alla “convenzionalizzazione” dell’atto di consumo.
D’altronde, qual è il risultato più coerente possibile che si può raggiungere continuando a smantellare il concetto di sostenibilità e di Green Deal come si sta facendo a tutti i livelli sul piano politico, economico e tecnico? Come si può pensare di sostenere un consumo responsabile se addossiamo alle politiche sostenibili tutti i mali che affliggono le nostre società, se neghiamo continuamente il cambiamento climatico ed i suoi effetti, se riteniamo che il Green Deal abbia minato la competitività dell’Europa, se alcuni dirigenti del mondo agricolo organizzato vagheggiano il mero ritorno alla chimica di sintesi rinunciando all’innovazione sostenibile di processo e se pensiamo che la soluzione a tutti i mali sia l’origine?
Questo è il contesto in cui il settore biologico si trova ad operare; un contesto, si badi bene, che non è molto diverso da quello in cui alla fine degli anni ’80-inizi ’90 molti di noi ci trovammo ad operare. Ora il Bio deve fare di più e nessuno può ritenersi esentato. Proprio nell’ultimo commento ci si chiedeva dove è il biologico, come e se è presente nel dibattito sul futuro delle nostre società in termini di consumo consapevole, competitività, sostenibilità, benessere, giustizia sociale, promozione umana, democrazia compiuta.
In questi ultimi mesi abbiamo lamentato l’assenza di un disegno strategico sul Biologico in cui il ruolo dell’Autorità si riduce alla produzione legislativa di norme inutilmente complesse e penalizzanti, le Associazioni in taluni casi sembrano più attente all’autoreferenzialità e a mantenere un rapporto di buon vicinato sia con l’Autorità che con il politico di turno, alcuni settori come quello distributivo sembrano disimpegnarsi dal Biologico di fatto non investendo in nuove referenze e progetti, le stesse aziende manifatturiere continuano a non impegnarsi nella comunicazione e nel marketing dei prodotti biologici. Nel mercato nazionale il risultato è una crescita stentata con, da un lato, prezzi alla produzione (agricola) che non remunerano i costi e che scoraggiano il settore a proseguire e dall’altro prezzi che deprimono i consumi in un periodo in cui l’inflazione del carrello non ha certo calmierato i prezzi.
Fabrizio Piva