Se n’è andata Giulia Maria Crespi, l’appassionata pioniera del bio-dinamico

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“Chi ha avuto molto, deve dare molto”. Era il motto di Giulia Maria Crespi, figlia della ricca borghesia lombarda, nata a Merate, in provincia di Lecco, il 6 giugno 1923, morta il 19 luglio 2020 a Milano, all’età di 97 anni. Giulia Maria è stata di parola, in particolare dai suoi cinquant’anni in poi, prima quando si trovò a gestire il primo quotidiano italiano, il Corriere della Sera, la cui quota di controllo aveva eredita dal padre, quotidiano che contribuì a trasformare in una grande giornale europeo, poi come fondatrice, nel 1975 del Fondo per l’Ambiente Italiano, il FAI. Nel frattempo, nel 1974, fu la pioniera dell’agricoltura bio-dinamica in Italia, che introdusse in quell’anno nella tenuta delle Cascine Orsine alla Zelata, in provincia di Pavia, impegno che mantenne negli anni, appoggiando molte iniziative del settore biologico e bio-dinamico in Lombardia e in altre parti d’Italia.
Pubblichiamo anche noi, per ricordare questa donna straordinaria, così attiva sui temi dell’ambiente e di un’agricoltura sana, una sua testimonianza. Eccola.

“La mia avventura con la bio-dinamica è nata da un dispiacere infantile, quando nelle campagne della nostra azienda notavo con dolore, verso maggio, che il possente corale delle rane nelle risaie si arrestava. Lo sapevo: erano stati messi i diserbi! La soluzione mi venne offerta quando scoprii, in un ospedale svizzero dove ero andata a curarmi, che le rane avrebbero potuto continuare a cantare coltivando con il metodo bio-dinamico, che offriva vantaggi superiori sia per la salute della terra sia per quella del consumatore. Così iniziò la grande avventura. Non fu semplice trasformare i terreni sabbiosi del Ticino. “Sulla parte bassa dell’alveo non puoi che farci piantagioni di pioppi oppure abbandonarli per la caccia”, mi diceva l’agronomo che gestiva l’azienda: “Anche nella parte più alta la terra è così povera che senza additivi chimici si può combinare ben poco quando lì hai un ph di quattro…”. Parole astruse. Che cosa diavolo era questo ph? Mi misi a consultare libri e chiamai, per impostare questa nuova tecnica, un consulente tedesco.

“Tra l’ironia del vicinato (che però la sera veniva a perlustrare l’evolversi delle colture) e la perplessità dei lavoranti, l’esperimento andò avanti. Era il 1974 e certe espressioni come “ecologia”, “biologico” e ” biodiversità” si stavano diffondendo ed entrando nel linguaggio comune. Così il riso Rosa Marchetti delle Cascine Orsine venne conosciuto e ricercato e i nostri formaggi incontrarono il favore del pubblico. Mio figlio Aldo, ormai adulto, prese in mano l’azienda. Dopo trentatré anni di lavoro le rese di cereali non sono molto distanti dalle coltivazioni convenzionali, anche se il prezzo di produzione risulta più alto a causa della manodopera più numerosa. (…) All’orizzonte si affaccia il nuovo pericolo delle sementi geneticamente modificate, “così il nostro mais e la nostra soia avranno rese più sicure”, dimenticando che l’ingegneria genetica, ancora ai primi passi, potrebbe causare rischi quali la dispersione nell’aria del polline e il trasferimento dei transgeni dalle colture geneticamente modificate alle erbe spontanee. La terra è diventata quasi materia morta. Mi chiedo: quale salute portano all’uomo i prodotti che germogliano, crescono e maturano in questo ambiente sterile? E quali sapori, quali profumi sprigionano i frutti e le verdure? Quale forza di vita? (…) Anche altri aspetti sollecitano il diffondersi dell’agricoltura biologica e bio-dinamica. Il paesaggio, per esempio.

“Lo sviluppo del paesaggio è un obiettivo primario del metodo bio-dinamico, nel quale vengono prese in seria considerazione le relazioni reciproche tra colture, alberi, insetti, cioè la biodiversità. È proprio il paesaggio uno degli obiettivi principali su cui deve puntare il nostro turismo per l’unicità della nostra arte e la grande varietà del nostro territorio. Cosa sarebbe l’Italia se non ci fossero i vigneti, le colline digradanti di olivi, il profumo di zagara negli aranceti del Sud, i viali di cipressi, le pianure allagate delle risaie che riflettono i filari di pioppi? Il turismo, inoltre, genera occupazione e indotto. Potrebbe essere una delle più floride industrie italiane, se pianificato e tutelato. Spero che nel mondo politico maturi questa consapevolezza. Un altro punto da ricordare è l’assetto idrogeologico del terreno. Il taglio degli alberi, la cementificazione dei torrenti, la costruzione di strade, molte delle quali inutili, distruggono il tessuto del terreno provocando catastrofi naturali con enormi danni per gli abitanti e le casse dello Stato. Anche qui l’agricoltura bio-dinamica potrebbe rappresentare una ragionevole prevenzione. Concludendo: ma allora noi biologici e bio-dinamici siamo poi alla lunga davvero così antichi o scriteriati? Io non lo credo: perché la bio-dinamica cerca di unire la verità concreta del materiale con quanto di spirituale e incommensurabile vi è in natura. Un anelito verso la grande armonia universale. Tutta poesia?”.

 

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