Denuncia di Greenpeace sulle mele. La reazione di Assomela

pesticidi_val_di_non_0.jpg

Condividi su:

Facebook
Twitter
LinkedIn

In un rapporto diffuso a metà giugno (‘Il gusto amaro della produzione intensiva di mele. Un’analisi dei pesticidi nei meleti europei e di come soluzioni ecologiche possono fare la differenza’) Greenpeace ha passato ai raggi X la produzione di mele in Europa e il risultato non è incoraggiante.

Su un totale di 85 campioni raccolti (49 di suolo e 36 di acqua provenienti da meleti intensivi) sono stati trovati 53 pesticidi diversi: il 78% dei prelievi di suolo e il 72% dei prelievi di acqua contenevano residui di almeno un pesticida.

E il 70% dei pesticidi individuati ha un’elevata tossicità per gli esseri umani o per l’ambiente. Questa fotografia ambientale è stata scattata all’inizio del periodo di fioritura. Non si tratta dunque di stabilire quanti residui rimangono nei frutti (da anni risulta che quelli fuori norma sono dell’ordine di qualche percento) ma di misurare l’impatto sull’ambiente.

 

I risultati, si legge nel rapporto, ‘mostrano che nei meleti europei è possibile trovare una vasta gamma di pesticidi nel suolo e nelle acque, che rimangono nel terreno e continuano a inquinare l’ecosistema anche dopo l’applicazione. Nonostante non sia possibile determinare l’esatta provenienza di questi pesticidi, l’ipotesi più verosimile è l’uso diretto (recente o passato) di pesticidi nei meleti dove questi campioni sono stati raccolti, mentre alcune sostanze potrebbero essere il prodotto della parziale degradazione di altri pesticidi’.

Ci si sente peggio guardando alla classifica dei Paesi. Il più alto numero di pesticidi nel suolo è stato trovato in Italia (18 in totale su 3 campioni raccolti), seguono il Belgio (15 su 3 campioni) e la Francia (13 su 6 campioni). Per quanto riguarda l’acqua, invece, i valori maggiori sono stati registrati in Polonia (13 pesticidi su 3 campioni), Slovacchia (12 su 3 campioni) e Italia (10 su 2 campioni).

Dei 38 pesticidi scoperti nei campioni di acqua, 8 sono altamente tossici per gli organismi acquatici. Mentre tra quelli trovati nel complesso dei prelievi, 8 risultano altamente tossici per le api. Inoltre 7 non sono attualmente approvati nell’Unione europea e possono essere utilizzati solo da eccezionali deroghe temporanee.

Il rapporto sottolinea le tecniche alternative per la lotta ai parassiti e alle malattie dei meli: ‘Un ecosistema agricolo in equilibrio è il fattore chiave per una produzione sostenibile di mele dal momento che aumenta la resilienza a parassiti e malattie e, contemporaneamente, favorisce i nemici naturali dei parassiti, come le vespe, attraverso una maggiore disponibilità di polline e nettare’.

Assomela di Trento ha replicato a Greenpeace con una nota in cui si legge: ‘Ad una prima impressione il lavoro, apparentemente ben impostato, presenta alcune criticità, prima fra tutte la mancanza di terzietà, punto fondamentale per una piena affidabilità dei risultati. Ciò nonostante si è attentamente valutato quanto riportato, peraltro da tempo oggetto di costante attenzione ed impegno. In alcuni casi si conferma un livello di coerenza con parte dei risultati emersi, in particolare riguardo agli agrofarmaci rilevati, che, come peraltro affermato dalla stessa Greenpeace, sono ammessi dalla legislazione Europea. Tali agrofarmaci sono inseriti nei disciplinari di produzione integrata nazionali e, di conseguenza, in quelli delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, spesso con ulteriori limitazioni tecniche volontarie.

Il bassissimo tenore dei residui rilevati per questi prodotti, nell’ordine delle ‘parti per miliardo’, molto inferiori rispetto ai limiti di legge, conferma peraltro la correttezza e la professionalità nell’impiego di tali sostanze da parte dei frutticoltori. Un’analisi critica dei risultati pubblicizzati mette peraltro in evidenza il rilevante progresso realizzato dal settore melicolo nell’impiego di agrofarmaci.

Tre fatti, che emergono dal lavoro di Greenpeace, possono accompagnarci a tale conclusione, del tutto opposta a quella che appare a prima vista:

1. il ritrovamento di molecole risalenti agli anni ’60 – ‘70 (DDT, Endrin, Dieldrin, Linuron), da molto tempo escluse dalla legge e peraltro non trovate in Italia, con alta persistenza nel suolo;

2. il generalmente basso residuo, anche da 1 – 15 volte inferiore al massimo ammesso dalla legislazione, di sostanze oggi regolarmente ammesse e correttamente utilizzate;

3. il mancato ritrovamento nello studio di Greenpeace di diverse sostanze di comune impiego, che ne dimostra ancora una volta non solo un uso professionale, ma anche la veloce degradabilità nel suolo.

‘Tutto questo – continua la nota di Assomela – ci porta a concludere che quanto viene oggi utilizzato per la difesa dalle malattie del melo si dimostra quindi poco persistente, poco residuale e rispettoso degli equilibri naturali del terreno e delle acque. In breve, proprio quanto diffuso da Greenpeace dimostra la straordinaria evoluzione nella selezione di agrofarmaci sempre più moderni e la professionalità dei frutticoltori nel loro impiego. Il raggiungimento di questo obiettivo, certamente migliorabile, è facilmente dimostrato attraverso alcuni indicatori della salute dell’ambiente. Il report di Greenpeace, non cita ad esempio alcuno dei molteplici indicatori della rinnovata vitalità dei frutteti del giorno d’oggi, dove nidificano molte specie di volatili, dove tornano i rapaci ma anche molte altre forme di vita e dove l’incontro con animali selvatici è facile e frequente. Su questi aspetti la collaborazione intensa e strategica tra produttori, centri di ricerca, consulenza tecnica ed autorità pubbliche è un fatto forte ed i risultati in termini di qualità ambientale lo certificano. Da almeno 30 anni i frutticoltori si sono posti il problema della sicurezza del frutto e del proprio lavoro, ma anche della “convivenza” con il sistema urbano e sociale circostante. Importanti investimenti sono stati fatti in sperimentazione, ricerca ed innovazione ed altri sono in via di attuazione’.

‘Il lavoro di Greenpeace – conclude la nota – offre comunque spunti utili per proseguire nell’impegno a ricercare soluzioni progressivamente sempre migliori, che possano salvaguardare una sufficiente redditività per le circa 20 mila aziende produttrici di mele italiane e l’indotto occupazionale diretto che ne deriva, stimabile in oltre 5.000 dipendenti, con trend in crescita. Si conclude infine confermando che la garanzia di sicurezza delle mele commercializzate resta inalterata ed ai massimi livelli internazionali’. 

Seguici sui social

Notizie da GreenPlanet

news correlate

INSERISCI IL TUO INDIRIZZO EMAIL E RESTA AGGIORNATO CON LE ULTIME NOVITÀ