Quali sono i freni all’acquisto di frutta e verdura bio? In pole position, nelle risposte giunte da 1200 consumatori, c’è il prezzo troppo elevato (77% degli intervistati), cui segue il fatto che non ci sono abbastanza promozioni (28%). Di qui la necessità di far percepire il valore del biologico e agire sulla leva dell’assortimento che, grazie anche ai prodotti di IV e V Gamma, sempre più attenzionati dal 69% che acquista ortofrutta bio, può catalizzare nuovi consumatori, nonché fidelizzare quelli già orientati al bio. Sono questi i messaggi chiavi emersi da un’indagine SGMarketing, presentata dall’analista Roberto Rainò in occasione del webinar sul marketing che ha rappresentato il terzo appuntamento dei seminari online su “Come il Bio può tornare protagonista” organizzati da GreenPlanet con il contributo del Consorzio il Biologico. Al webinar, con la coordinatrice di GreenPlanet Chiara Brandi in veste di moderatrice, sono intervenuti Cristina Cossa, Head of Marketing Rigoni di Asiago, Valentina Di Costanzo, Responsabile Marketing Bioitalia Società Benefit, e Fabrizo Piva, responsabile Sviluppo e sostenibilità Coop. G.Bellini, nonché editorialista di GreenPlanet.
La domanda dei prodotti bio, ha sottolineato l’analista Rainò, cresce, con un valore di mercato che in Italia ha raggiunto nel 2024 i 6,5 milioni di euro (+5,7% sul 2023) e registra dati positivi in particolare l’ortofrutta bio che nel 2024 ha segnato una crescita in valore dell’8,2% rispetto l’anno precedente (totalizzando una quota in valore del 10% sugli acquisti di ortofrutta in generale) ma soprattutto, dopo anni negativi, ha visto in ripresa anche in volumi (+5,3%). Questa ripresa, ha osservato l’analista di SGMarketing, va guidata al meglio sotto il profilo marketing, considerato anche che un 7% degli intervistati ha ammesso di non sapere esattamente cosa è il bio. Partendo dal fatto che il fattore convenienza è il principale freno all’acquisto degli intervistati, l’analista Rainò ha osservato che “la leva della promo-comunicazione deve fare da sottofondo a tutte le scelte di marketing, quest’ultimo però deve anche essere protagonista, dando anche messaggi chiari ad un consumatore che probabilmente ha bisogno di conoscere meglio cosa c’è dietro davvero alla parola biologico e che quindi ha bisogno di rassicurazioni e informazioni di consapevolezza”.
La Head Marketing Rigoni di Asiago Cristina Cossa ha riconosciuto che “purtroppo ancora una minima parte di consumatori comprende profondamente le logiche del biologico e il valore che ha” e accade quindi che, in nome della convenienza, “il consumatore approcci una alimentazione più povera e poi magari ricorra a integratori, farmaci, e così via per stare bene”. “Detto questo – ha aggiunto Cossa – è chiaro che dovremmo comunicare di più. La nostra azienda punta a uno storytelling autentico con il consumatore, abbiamo iniziato nei punti vendita della GDO, e l’abbiamo promosso anche in altri eventi. Il consumatore comprende l’autenticità delle nostre parole, anche perché oggi non mancano gli strumenti per una pronta verifica di quello che viene detto, e quindi si lega all’azienda e al prodotto”. “Non è la classica comunicazione televisiva, per aziende, diciamo così, più mainstream – ha proseguito Cossa -, è sicuramente una comunicazione più lenta, che tuttavia incide, resta, e ci lega il consumatore”.
Da parte sua Valentina Di Costanzo di Bioitalia Società Benefit ha sottolineato come l’azienda abbia deciso “di partire dal restyling del prodotto, per concentrare gli sforzi maggiori su quello che il consumatore si ritrova nelle mani. Abbiamo sentito questa esigenza proprio perché dalle ricerche da noi commissionate è emersa la confusione che ha il consumatore sul biologico. A volte hanno più efficacia claim che nulla hanno a che fare con il biologico ma che risultano più chiari e quindi arrivano direttamente al consumatore”. “Abbiamo quindi deciso – ha continuato Di Costanzo – di spogliarci nella nostra etichetta di tutto quello che è in più, per comunicare proprio i valori basilari del biologico. Abbiamo cercato di costruire un rapporto di fiducia con il consumatore anche avvalendoci di strumenti tecnologici come la blockchain che, attraverso la scansione del QR code, permette di risalire a tutto quello che c’è dietro la storia di un prodotto. Questa cosa nel tempo ci sta aiutando sicuramente ad acquisire quella fiducia che un po’ si persa presso il consumatore, perché un’altra cosa che è venuta fuori dalle nostre indagini di mercato è proprio questa sfiducia nelle certificazioni in generale”.
Per l’esperto del bio Fabrizio Piva, il marketing del settore “deve puntare a a comunicare tutti gli sforzi che vengono fatti per offrire un prodotto buono ed equilibrato nel prezzo. Questo anche per valorizzare meglio la filiera, a cominciare dalle materie prime agricole che sono alla base del prodotto e dell’agricoltura bio. Visto che oggi da un lato c’è la sofferenza del mondo agricolo che difficilmente riesce a recuperare i costi di produzione e, dall’altro, la richiesta di convenienza del consumatore, il marketing deve comunicare la bontà degli sforzi che vengono fatti sui prodotti bio. È senz’altro vero che il consumatore è confuso, vede molti marchi, vede molte asserzioni differenti tra loro che hanno a che fare con la natura e che con la natura probabilmente non c’entrano nulla”.
Per Piva, il biologico deve anche dare maggior “freschezza” al prodotto, renderlo più “cool”, comunicando che “il biologico non è un prodotto vecchio, è un prodotto nuovo, perché per fare biologico le aziende utilizzano le migliori scoperte della tecnologia. Non si può abbinare il concetto di bio a un concetto superato, di recupero della storia, del passato”. “E poi – ha proseguito Piva – bisogna comunicare di più in modo assoluto, nel senso che, complessivamente, in questi ultimi anni la comunicazione del biologico si è ridotta. La GDO non lo sta presentando come un prodotto di punta ma anche le grandi aziende non devono sentirsi assolte, devono dare ai buyer maggiori informazioni, fare iniziative direttamente nei punti vendita, come del resto abbiamo sentito, e creare un maggiore assortimento per intercettare le diverse fasce di consumatori”.
Rigoni di Asiago, ha osservato la manager Cossa, cerca anche “attraverso i nostri canali digitali di tenere informato il consumatore. Raccontiamo il biologico come un nostro valore, di azienda attaccata al territorio che ci crede da sempre e non lo fa per moda. Sicuramente un po’ tutti dovremmo unirci, a cominciare da noi aziende che da sempre abbiamo creduto nel bio e l’abbiamo nel DNA, per fare campagne più informative sul fronte dei consumatori, con il sostegno di media come GreenPlanet che ci aiutano a diffondere e supportare questo messaggio”.
Fabrizio Piva è intervenuto con la constatazione che, oltre a una più diffusa comunicazione sul biologico, serve anche una comunicazione più efficiente, “perché quando si fa una campagna di comunicazione bisogna che la faccia chi la sa fare”. Per esempio, ha continuato l’editorialista di GreenPlanet, “l’ultima campagna nazionale sul biologico fatta in Italia, qualcuno se la ricorda secondo voi? E non sono passati degli anni ma dei mesi”.
“Allora, probabilmente – ha concluso Piva –, bisogna anche pensare a dei modelli di comunicazione in cui ci siano delle aziende che concorrono, che presentano i loro progetti e che, insieme al valore del biologico, presentano anche la loro azienda. Bisogna avere il coraggio di uscire da questo unanimismo che poi porta poco”.
Cristina Latessa