Quale è il rapporto fra biologico e scienza, fra biologico ed innovazione? Sembra una domanda retorica od oziosa, ovvero scontata e priva di senso; in realtà, invece, è una domanda che può nascondere molti aspetti di come il biologico si è evoluto in questi ultimi anni. Probabilmente è una domanda che può anche dare qualche risposta al calo di interesse che il settore ha fatto registrare sul consumatore, al di là della seppur vera e forse abusata spinta inflattiva registrata negli ultimi due anni.
Fin dalla fine degli anni ’80 il settore del biologico si è sempre caratterizzato per essere innovativo, una sorta di “ritorno al futuro”, che inneggiava al miglioramento continuo, all’innovazione tecnologica, alla ricerca ed alla sperimentazione valorizzando nel contempo le buone pratiche colturali ed agronomiche che sono alla base della “buona agricoltura” e dell’agroecologia. Per alcuni decenni il biologico ha assolto egregiamente al compito di essere, almeno nel comparto alimentare ed in parte in quello della cosmesi e del tessile, il traino della transizione ecologica ben prima che questa diventasse un obiettivo dell’UE e del Pianeta intero. Nel momento in cui il mondo, in particolare quello occidentale, ha individuato nella transizione ecologica un modello di sviluppo in grado di contrastare e mitigare il cambiamento climatico, il biologico ha un po’ perso il suo ruolo di “apripista” della sostenibilità e altri modelli produttivi ne hanno insidiato i contenuti.
I legami fra scienza, innovazione e biologico sono irrinunciabili affinché il settore permanga nel suo ruolo di soggetto “centrale” della mitigazione e dell’adattamento climatico nell’ambito del settore alimentare. Ed è questo il ruolo che può riportare il biologico entro i “radar” della comunicazione “mainstream”, perché da qualche anno ne è uscito.
Ciò che esce dalle associazioni di settore sembra non dare particolari stimoli, come avessero “il freno a mano tirato” rispetto alle principali innovazioni che la scienza propone e fossero completamente slegate da un mondo produttivo che ogni giorno si confronta sui principali mercati. Le imprese, ed oggi sono tante nei vari segmenti di filiera, si confrontano ogni giorno sui mercati mondiali ed hanno bisogno di una spinta più coraggiosa, più “fresca”, più connessa al mondo della ricerca, più capace di cogliere le opportunità e di “legare” il concetto di biologico alle nuove generazioni e a ciò che di innovativo viene offerto. Il biologico di fine anni ’80 era questo e non certo una “minestra riscaldata” che favorisce coloro che non hanno capito il ruolo del biologico, anzi lo hanno ostacolato.
Ecco perché le battaglie contro farine di carne ed insetti sono deleterie per il settore. Sulla prima non si capisce cosa c’entri il biologico e per quale motivo nulla si dica in proposito della coltivazione di cellule di mela quale integratore alimentare (Reg UE 2847/2023) o dell’ultra trentennale pratica delle colture meristematiche e ci si scagli contro la coltivazione di cellule animali quando queste, al di là del biologico, possono risultare ben più sostenibili di un allevamento e rappresentino un’applicazione industriale della ben più importante coltivazione di tessuti per chi affetto da incidenti o malattie ne ha bisogno. Ancor più incomprensibile è la battaglia contro l’allevamento e la trasformazione di determinati insetti. Si tratta di farine che vengono incorporate soprattutto nei mangimi, hanno un elevato indice di conversione di materie prime che nella migliore delle ipotesi sono scarti/rifiuti, costituiscono una fonte proteica che al 60-62% di proteine totali può sostituire la soia che importiamo al 90-95% dall’altra parte del mondo con costi ambientali molto più elevati. E se poi si definissero i criteri per produrre gli insetti biologici per quale motivo non dovremmo farlo?
Anche sulla genetica credo che il settore dovrebbe assumere un atteggiamento più coraggioso, maggiormente disponibile al confronto e meno ipocrita. Il “genome editing” e la “cis-genesi” sono probabilmente solo l’inizio di un approccio differente rispetto agli OGM, trattandosi di interventi interspecifici e non fra specie o regni differenti come la “trans-genesi”. I termini latini “cis” e “trans” spero possano aiutarci. Come si affronterà l’epigenetica quando, con alcune sostanze naturali, potremo modificare l’espressione di una pianta senza modificarne la sequenza del DNA? Oppure come sarà accolta la tematica dell’RNA interferente che può silenziare alcuni geni senza intaccarne la struttura, vedi il caso di alcune sostanze che bloccano i geni della muta di alcuni insetti?
Il biologico si regge su un modello produttivo economicamente sostenibile e solo così mantiene un ruolo strategico nella necessaria ricerca di maggiore sostenibilità che il Pianeta deve perseguire. Il biologico non po’ ridursi ad un settore fatto di “no” aprioristici che lo appiattiscono su una concezione tolemaica o da “terrapiattisti”. E rispetto alle recenti proteste degli agricoltori va ricordato che la transizione ecologica è la soluzione, non il problema
Fabrizio Piva