Biodistretti: interessano il 30% della superficie nazionale ma senza omogeneità di obiettivi

Biodistretti

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Sul tema dei distretti biologici c’è molta confusione. Ad ammetterlo gli studiosi del CREA, Centro di ricerca Politiche e Bio-economia, che a Palermo, con il supporto della Rete Rurale Nazionale, hanno fatto il punto della situazione. L’occasione è stato il focus daI titolo “Distretti biologici siciliani a confronto – Il D.M. 28 dicembre 2022 n. 663273 un caposaldo normativo per il loro riconoscimento”. 

Ne hanno mappati 73. Ma per stessa ammissione dei ricercatori, potrebbero essere di più. Dal punto di vista ecologico presentano molte differenze e sono distribuiti prevalentemente sull’arco appenninico. Poi presentano enormi differenze dal punto di vista della dimensione. La forbice è ampia: si va dall’ampiezza di una intera regione come come quelli di Marche, Umbria e Sardegna, a quelli – in totale nove – che interessano la superficie di un solo comune. E poi la sorpresa: in Italia è concentrata la più grande superficie mondiale dei distretti biologici. “Ben il 30 per cento della superficie nazionale è interessata dai biodistretti, ma – ha osservato Roberto Sturla del CREA Politiche e Bio-economia e Rete Rurale Nazionale – non c’è omogeneità di obiettivi”. E per finire la composizione. Anche questa è la più varia. In qualche biodistretto le amministrazioni comunali sono assenti, in altri prevalenti.

Sul concetto di distretto biologico, il presidente di Italia Bio Lillo Di Loro, che lo stesso giorno del convegno ha affidato le proprie idee a una nota stampa, ha affermato:”Il biodistretto rappresenta una innovativa forma di gestione e uso del territorio in cui cittadini, istituzioni, agricoltori e altri attori della filiera agricola condividono un patto di collaborazione per la gestione sostenibile del territorio, secondo i principi dell’agricoltura biologica”. Insomma, una forma di governo del territorio concretamente alternativa ai modelli economici dominanti che mette al centro i bisogni dell’uomo e il valore dell’agricoltore custode degli ecosistemi.

Dalla esposizione dello studioso del CREA è emerso, in sostanza, un vero e proprio coacervo di situazioni e di iniziative (spesso lodevoli) ma così tanto diverse tra loro, che non sarà facile portare ad unico denominatore. Da questo obiettivo prende le mosse il decreto Ministeriale n. 663273 del 28 dicembre dello scorso anno Determinazione dei requisiti e delle condizioni per la costituzione dei distretti biologici. Servirà a mettere un po’ d’ordine in questo mare magnum di sodalizi che in comune hanno spesso solo la matrice dell’AIAB, l’Associazione Italiana dell’Agricoltura Biologica, che è la stata promotrice (almeno iniziale) di gran parte di essi.

E in Sicilia?

Se ne contano sei: Borghi Sicani, Bioslow Pane e Olio, Terre degli Elimi, Valle del Simeto, Eolie, Nebrodi. “Tutti molto diversi tra loro, sia per superficie protetta e urbanizzata che per colture”, ha detto Sturla. Di questi solo due sono riconosciuti e quindi iscritti nel Registro nazionale: Borghi Sicani, Bioslow Pane e Olio. Per gli altri e per quelli che verranno costituiti in futuro (in fase di costituzione avanzata, ad esempio, c’è già il Biodistretto agroecologico Valle dei Templi) il riconoscimento al momento non è possibile. La Regione, infatti, non ha ancora normato l’ambito dei distretti biologici e non ha stabilito i requisiti richiesti per il loro riconoscimento. “La Sicilia che, malgrado la flessione dell’ultimo periodo, con i suoi 316.147 ettari di SAU certificata, rimane la prima regione d’Italia per coltivazioni biologiche, rischia di mortificare il proprio potenziale“, ha denunciato Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio. “Per questo – ha continuato – sarebbe utile una legge regionale specifica che riordini il settore, dandogli slancio, e consenta ai comitati promotori di nuovi distretti di uscire dal ‘limbo dei buoni propositi’ in cui per ora sono collocati”.

Legge o semplice avviso con decreto assessoriale? Qualunque cosa la Regione Siciliana metterà in campo basterà a salvare le coltivazioni bio dell’Isola? Per Francesco Ancona, consigliere del Distretto Agrumi con delega al bio che è intervenuto per AIAB Sicilia, “nel contesto siciliano, dove la produzione biologica si afferma al vertice in Italia, il biodistretto emerge come uno strumento prezioso per favorire lo sviluppo sostenibile del territorio attraverso le diverse produzioni biologiche”. Ma c’è molto da lavorare per superare un vero e proprio impasse. “Una sfida peculiare in Sicilia – ha dichiarato Ancona – è rappresentata dal divario tra la nostra eccellenza come produttori e il basso consumo interno”. Mentre a livello nazionale si registra una diminuzione del 6% nei consumi, la Sicilia evidenzia un preoccupante calo del 19% nell’ultimo anno. “Questo dato – prosegue Ancona – incide in modo significativo sulle piccole e medie imprese, che sono il cuore pulsante dell’economia biologica regionale”.

Adesso per i produttori bio siciliani è arrivato il momento della verità. Dopo la “strigliata” all’amministrazione regionale dall’audit della Corte dei Conti europea che ha sollevato dubbi circa l’efficacia delle misure finanziate con i fondi comunitari per l’agricoltura biologica (visto il divario fra produzione e consumo), i premi del PSP saranno corrisposti solo a coloro che riusciranno a commercializzare le loro produzioni come bio e non come convenzionali.

La strada per la Sicilia è, dunque, segnata: dovrà incidere sulle filiere bio per migliorarne l’organizzazione e l’efficienza al fine di calmierare i prezzi e sulla abitudini alimentari e di acquisto dei consumatori facendo superare le loro radicate diffidenze. Il tutto con un obiettivo apparentemente banale, ma complicatissimo da conseguire: aumentare la quota commercializzata dei prodotti biologici che, in tempi di inflazione e ridotta capacità di acquisto, costano ancora troppo per tasche sempre più vuote.

Angela Sciortino

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