Nei giorni scorsi la Fondazione Fairtrade ha pubblicato un nuovo report in cui si denunciano importanti perdite di valore lungo la catena di fornitura delle banane equosolidali a causa delle incessanti ‘guerre di prezzo’ in atto da tempo tra i principali distributori britannici. Negli ultimi dieci anni, infatti, il prezzo al consumo delle banane fairtrade sfuse si è pressoché dimezzato mentre i costi di produzione sono più che raddoppiati
In media, ad oggi, il prezzo di una singola banana si aggira attorno agli 11 penny, contro i 18 penny di dieci anni fa. Una contrazione del prezzo finale che non rispetta affatto l’aumento dei costi di produzione riscontrato nei tre principali paesi fornitori del mercato britannico: Colombia (+85%), Repubblica Domenicana (+350%) e Equador (+240%), che da soli coprono il 70% delle forniture UK.
L’inarrestabile pressione al ribasso sul prezzo finale delle banane ha provocato pesanti cambiamenti nei mercati d’origine, con perdite di posti di lavoro e marginalizzazione dei piccoli proprietari terrieri. La Fondazione ha sollecitato una risposta coordinata alle questioni identificate nel Report da parte del Ministero dell’Economia e dell’Ufficio preposto per il commercio fairtrade, affinché si avviino indagini sui prezzi applicati dai distributori. I rivenditori hanno asserito che il prezzo inferiore applicato alle banane sfuse non deriva da una forzatura del prezzo all’origine, ma è da ricondursi al raggiungimento di politiche di efficienza lungo la catena di approvvigionamento e a marginalità inferiori al dettaglio.
Fino al 1990 anche i più grandi rivenditori facevano affidamento su imprese terze specializzate nella gestione della catena di fornitura, dalla produzione alla distribuzione fino alla consegna al negozio finale. Queste fasi erano in gran parte riservate a imprese come Chiquita, Dole, Del Monte e Fyffes, che operavano direttamente nelle piantagioni e trasportavano i carichi sulle proprie flotte di navi refrigerate. I progressi ottenuti nel trasporto dei container hanno garantito nuove modalità di esportazione delle banane, che possono ad oggi essere spedite su navi convenzionali insieme ad altri carichi, fornendo così un servizio più flessibile.
Tali sviluppi nel settore del trasporto merci hanno permesso ad alcuni dei più grandi retailer del Regno Unito di accorciare la catena di fornitura per banane e altra frutta esotica, acquistando direttamente dai produttori dei Paesi di origine e contrattando i servizi necessari per la spedizione e la maturazione; si tratta di una pratica nota come ‘direct sourcing’ (‘approvvigionamento diretto’). In precedenza il costo di questi servizi, affidati a società specializzate, andava ad aumentare il prezzo finale corrisposto dai supermercati.
I retailer sono concordi nell’affermare che questo tipo di sourcing diretto ha garantito loro un maggior controllo sulla catena del valore, tuttavia ciò comporta anche uno svantaggio: il dover sostenere tutti i rischi precedentemente a carico dei fornitori, come eventuali deterioramenti del prodotto e fluttuazioni dei tassi di cambio nonché variazioni dei costi del carburante.
L’approvvigionamento diretto non è dunque sostenibile per alcune catene come Marks & Spencer, Waitrose e The Co-operative che ancora si servono di fornitori intermedi per la gestione dei rapporti con i produttori. Inoltre è chiaro che il direct sourcing non può sollevare completamente i rivenditori dalle spese di spedizione e di imballaggio, che devono essere affrontati in aggiunta ai costi di produzione.
Da non dimenticare poi che, nel momento in cui i supermercati aumentano il loro controllo sull’intera catena di approvvigionamento, le condizioni socio-economiche degli agricoltori e dei lavoratori non è più responsabilità esclusiva delle compagnie di trading. Insieme con gli spedizionieri, i retailer hanno ora un’elevata responsabilità in termini di sostenibilità della catena di approvvigionamento.
Un altro importante fattore da non dimenticare per spiegare la situazione attuale è rappresentato dall’inflazione. Negli ultimi 10 anni, l’inflazione nei Paesi produttori è stata molto più elevata rispetto a quella della Gran Bretagna; una media del 6,4% in Colombia, dell’8% in Ecuador e del 21,65% nella Repubblica Dominicana. Se si osservano i costi di importazioni al netto dei costi di spedizione contro l’inflazione che grava sui paesi produttori, si nota come il valore sia effettivamente cambiato. I prezzi pagati all’origine dai compratori britannici in Colombia sembrano ristagnare, mentre nella Repubblica Dominicana hanno registrato una contrazione del 48% e in Ecuador dell’81%.
Anche la liberalizzazione del commercio delle banane ha avuto un ruolo molto importante. Negli ultimi 20 anni la quota di mercato detenuta dalle principali società verticalmente integrate del comparto è diminuita di circa il 60%, a vantaggio dei grandi retailer, soprattutto in Europa. Questa trasformazione nel Vecchio Continente è stata accelerata da alcuni provvedimenti dell’Unione Europea, atti ad armonizzare e liberalizzare il mercato.
Le decisioni prese hanno talvolta colto alla sprovvista i paesi produttori, anche in momenti in cui ingenti somme pubbliche e private erano state investite per aumentare la produttività del comparto, con importanti ripercussioni sulla loro economia; un esempio è dato dalla brusca frenata dei volumi spediti da paesi come Ecuador e Colombia dopo l’introduzione del sistema di tariffazione unica nel 2006.
Il report inoltre ha svelato i risultati di un’indagine condotta dall’Ethical Consumer Research Association, che assegna un punteggio ai principali distributori in base a criteri socio-economici e ambientali relativi alle pratiche di approvvigionamento e alle politiche di trasparenza dell’intera filiera delle banane fairtrade.
I punteggi sono stati assegnati in percentuale: The Co-operative Food (90%), Sainsbury’s (88%), Waitrose (85%), M&S (69%), Tesco (65%), Asda (49%), Morrisons (24%), Lidl (20%), Aldi (19%). A fronte di tali giudizi, si è sollevato a propria difesa il coro dei distributori unanime. Judith Batchelar, direttore del Marchio Sainsbury’s, ha dichiarato: ‘Come prima catena britannica che in ordine temporale ha scelto di vendere solo banane fairtrade (dal 2007) e come primo retailer al mondo nella vendita di prodotti equosolidali, assicuriamo un giusto accordo per i produttori e le loro comunità. Non tutte le catene di supermercati sono uguali ma chi acquista banane da Sainsbury’s sa che i produttori sono equamente ricompensanti per il loro lavoro’.
Da Tesco, facendo riferimento al recente rapporto Trading Responsibly, ricordano l’impegno a corrispondere sempre un prezzo minimo equo, in grado di garantire non solo un corrispettivo giusto in base alla qualità delle banane ma anche di sostenere i produttori, i lavoratori e l’ambiente secondo elevati standard etici. Il portavoce di Morrisons infine ha dichiarato che la catena è orgogliosa del modello di approvvigionamento applicato per le banane, fondato su severi principi di responsabilità di acquisto. ‘Questo modello offre buoni ritorni ai produttori costruendo con loro una relazione stabile di lungo periodo’, ha aggiunto.
Conclusione: non sarà facile cambiare le cose, ovvero i rapporti di forza. (c.b.)