Alla fine della storia infinita, la fine dell’Ilva

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Ilva, la storia infinita, tragicamente infinita. L’ultima notizia prima dell’invio della nostra newsletter settimanale viene così riportata dal sito del Sole-24 Ore: ‘La Corte Costituzionale discuterà nell’udienza del 13 febbraio i due ricorsi sul conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato sollevati dalla Procura di Taranto in merito alle norme sull’Ilva. La Consulta ha quindi deciso di unificare i due ricorsi per velocizzare i tempi della pronuncia. Il primo ricorso è stato presentato a fine anno e riguarda il decreto legge 207 del 3 dicembre scorso; il secondo, invece, è relativo alle legge di conversione 231 del 24 dicembre scorso…

La legge 231, che si applica a tutti i siti industriali ritenuti di carattere strategico nazionale, consente all’Ilva di continuare a produrre per i prossimi 36 mesi (i tempi per la messa a norma ambientale) e di vendere i prodotti sequestrati dalla magistratura.

La stessa legge dà ulteriore forza all’attuazione dell’autorizzazione integrata ambientale e prevede la figura del garante che ogni sei mesi dovrà fare il punto della situazione sull’andamento dei lavori di bonifica’.

Bah. Restiamo della nostra idea. Ci possono essere soluzioni tampone per attenuare il dramma occupazionale ma esse inevitabilmente finiranno per prolungare la tragedia ambientale.

Inevitabilmente perché qualsiasi intervento vero a tutela della salute umana e ambientale richiederebbe tali risorse economiche e snaturerebbe i cicli produttivi dell’Ilva al punto da renderlo improponibile. L’Ilva è quella che è, i ritocchi possibili non spostano il problema di fondo: l’Ilva inquina in modo micidiale. L’Ilva è un killer che dà lavoro.

Alla fine di questa storia triste e infinita non ci può essere che la fine dell’Ilva. Credo lo sappia anche il ministro Clini e credo che lasciando l’incarico tirerà un sospiro di sollievo perché potrà dimenticare un pensiero che probabilmente gli ha tolto il sonno: l’incubo dell’Ilva.

Il problema è grande, indiscutibilmente ma la classe politica dovrebbe trovare il coraggio e il senso di responsabilità di creare per tempo le premesse di un’alternativa di sviluppo, un’alternativa occupazionale per l’area di Taranto.

Antonio Felice

editor@greenplanet.net

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