Azione UE contro l’Italia per l’Ilva di Taranto

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La Commissione europea ha deciso di avviare un’azione contro l’Italia per ridurre l’impatto ambientale dell’acciaieria ILVA di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico europeo. In seguito a diverse denunce provenienti da cittadini e ONG, la Commissione ha accertato che l’Italia non garantisce che l’ILVA rispetti le prescrizioni dell’UE relative alle emissioni industriali, con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente. L’Italia è inoltre inadempiente anche rispetto alla direttiva sulla responsabilità ambientale, che sancisce il principio ‘chi inquina paga’. Su raccomandazione del Commissario per l’ambiente Janez Potočnik la Commissione invia pertanto all’Italia una lettera di costituzione in mora, concedendole due mesi per rispondere.

 

La maggior parte dei problemi deriva dalla mancata riduzione degli elevati livelli di emissioni non controllate generate durante il processo di produzione dell’acciaio. Ai sensi della direttiva sulla prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento (direttiva IPPC) le attività industriali ad alto potenziale inquinante devono essere munite di autorizzazione.

Le prove di laboratorio evidenziano un forte inquinamento dell’aria, del suolo, delle acque di superficie e delle falde acquifere, sia sul sito dell’ILVA, sia nelle zone abitate adiacenti della città di Taranto. In particolare, l’inquinamento del quartiere cittadino di Tamburi è riconducibile alle attività dell’acciaieria.

Oltre a queste violazioni della direttiva IPPC e al conseguente inquinamento, risulta che le autorità italiane non hanno garantito che l’operatore dello stabilimento dell’ILVA di Taranto adottasse le misure correttive necessarie e sostenesse i costi di tali misure per rimediare ai danni già causati.

La Commissione, pur ritenendo un segnale positivo i recenti impegni assunti dalle autorità italiane per rimediare alla situazione, chiede tuttavia all’Italia di rispettare gli obblighi cui è tenuta ai sensi della direttiva IPPC e della direttiva sulla responsabilità ambientale. La Commissione è pronta ad aiutare le autorità italiane nei loro sforzi per risolvere queste questioni gravi.

Contesto

Il 30 marzo 2011 la Corte di giustizia dell’Unione europea ha condannato l’Italia per non aver rilasciato le autorizzazioni relative alle emissioni industriali per diversi impianti industriali, tra i quali l’ILVA (causa C-50/10). Il 4 agosto 2011 le autorità italiane hanno quindi rilasciato all’ILVA l’autorizzazione IPPC, successivamente aggiornata il 26 ottobre 2012.

La direttiva IPPC (direttiva 96/61/CE, sostituita dalla direttiva 2008/1/CE) istituisce un quadro unionale per disciplinare l’autorizzazione delle attività industriali e agricole ad alto potenziale inquinante. Le autorizzazioni possono essere rilasciate solo se sono soddisfatte diverse condizioni ambientali, affinché le stesse società siano responsabili della prevenzione e della riduzione dell’eventuale inquinamento da loro causato. L’autorizzazione garantisce l’applicazione delle misure di prevenzione dell’inquinamento più opportune e dispone il riciclaggio o lo smaltimento dei rifiuti nel modo meno inquinante possibile.

La direttiva sulla responsabilità ambientale istituisce un quadro giuridico basato sul principio ‘chi inquina paga’ per prevenire e riparare i danni all’ambiente. Gli operatori che svolgono le attività pericolose dell’allegato III della direttiva, compresa la produzione siderurgica, sono soggetti alla responsabilità oggettiva, in cui non esiste l’onere della prova a condizione che sia accertato il nesso causale fra l’attività e il danno. Le persone fisiche o giuridiche colpite e le ONG del settore ambientale hanno il diritto di chiedere all’autorità competente di adottare le misure correttive che ritengono necessarie.

 

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