A Vivaro è riandato in scena l’OGM-show

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Seimila metri quadrati di mais Ogm sono stati seminati a Vivaro in Friuli. La notizia è emersa sabato 15 giugno. Slow Food è stato tra i primi a prendere posizione: ‘Nonostante seminare Ogm in campo aperto sia in Italia tuttora vietato, nonostante ben due procure (Padova e Pordenone) si siano espresse in tal senso a proposito dell’operato di un agricoltore che qualche anno fa aveva seminato mais Ogm, e nonostante anche la corte di Cassazione, nel marzo 2012, abbia ravvisato nella condotta di chi semina mais Ogm l’integrazione di un reato, le autorità locali e nazionali, pur avvisate, non hanno preso alcun provvedimento’.

La notizia è rimbalzata lo stesso 15 giugno sul tavolo del governo e il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ha precisato che ‘quanto avvenuto in Friuli Venezia Giulia non è assolutamente da sottovalutare. In ogni caso è fondamentale ribadire che se non si verificano prima le condizioni di coesistenza, ogni semina di organismi geneticamente modificati non è permessa. Ho già dato disposizioni affinché il Corpo Forestale dello Stato, in accordo con le competenti autorità regionali, si accerti della natura delle sementi utilizzate in modo da assumere i provvedimenti del caso’.

Il Ministero ha precisato che ‘alla luce e nel rispetto della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea 6 settembre 2012 e di quella del 18 maggio 2013, il diritto di coltivare organismi geneticamente modificati deve convivere con il diritto dello Stato di condizionare la coltivazione ad adeguate misure di coesistenza con l’agricoltura tradizionale o biologica, al fine di evitare ogni possibile commistione di tali produzioni e conseguenti danni economici’. Il Ministero sottolinea che tale principio è stato affermato di recente nelle sentenza del 2013 che ha sottolineato la possibilità per gli Stati membri di adottare misure di coesistenza e che l’Italia si è espressa per l’adozione di misure di coesistenza fondate su ragioni economiche già dal 2001.

‘Ciò premesso, nel rispetto del diritto di scelta dei coltivatori di continuare a produrre tradizionalmente o secondo i protocolli biologici ovvero con sementi geneticamente modificate e quello dei consumatori di scegliere liberamente e consapevolmente alimenti prodotti con OGM ovvero senza, la legittimità della messa a dimora di sementi geneticamente modificate continua ad essere subordinata alla verifica che le concrete condizioni di tale coltivazione siano idonee ad evitare la commistione con le altre produzioni – precisa il Mipaaf – Tale verifica non può che avvenire ad istanza del produttore interessato, previa comunicazione di tutti gli elementi informativi relativi alla localizzazione delle produzioni e alle tecniche di difesa dalla commistione, che si intendono adottare. Solo in seguito alla positiva valutazione, la messa a dimora è legittima e come tale consentita. In ogni caso il Ministero, anche in accordo con le autorità regionali, disporrà tutti i controlli del caso’.

La Coldiretti ha commentato: ‘Il positivo e tempestivo chiarimento del ministero delle Politiche Agricole conferma l’illegalità delle semine biotech in Italia a tutela della produzione agricola nazionale e degli interessi dei cittadini italiani che in stragrande maggioranza si oppongono alle coltivazioni geneticamente modificate’. L’associazione ha chiesto al Governo il completamento della procedura di adozione della clausola di salvaguardia.

Amaro il commento di AIAB: ‘A forza di aspettare che qualcun’altro agisca si è lasciato, in tutti i sensi, campo libero a chi è interessato solo fare show e a delegittimare leggi e posizioni della maggioranza dei cittadini’. Il presidente di AIAB, Alessandro Triantafyllidis, sottolinea: ‘Non si riesce a comprendere come i Ministeri della Salute, delle Politiche Agricole e dell’Ambiente, non siano riusciti a concretizzare nei tempi opportuni quella clausola di salvaguardia che avrebbe messo in sicurezza tutto il Paese e su cui si è già pronunciato, all’unanimità il Senato’.

‘Non si riesce proprio a capire nemmeno l’inerzia della Regione Friuli, il cui governo appena insediato si è ripetutamente proposto come promotore di un modello agricolo basato sulla valorizzazione della biodiversità e delle eccellenze – aggiunge Cristina Micheloni, vice-presidente AIAB – . E’ vero che la situazione legale non è né chiara né semplice, ma non fare nulla davanti a questa sfida annunciata è stata la scelta peggiore. Essa non solo mette a repentaglio la qualità ambientale ed agricola del territorio friulano, ma soprattutto dà il colpo di grazia alla fiducia dei cittadini nelle istituzioni’.

 

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