Carnemolla-Berton, quando il bio è diviso

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L’editoriale di GreenPlanet di due settimane fa, dedicato, in modo un po’ provocatorio, alle bio-mafie, ha suscitato molteplici reazioni tra le quali un articolato botta-risposta tra un lettore e il presidente di Federbio, Paolo Carnemolla. Perché i nostri lettori che vorranno leggere questo lungo confronto a distanza, ne ricavino una loro personale opinione e poiché riteniamo che il dibattito sia sempre positivo, anche quando muove da posizioni che condividiamo poco o nulla, pubblichiamo per esteso la parte iniziale di questa corrispondenza che tocca, in ogni caso, aspetti importanti del biologico italiano in questa delicata fase della sua storia, compreso il ruolo che sta giocando il ministero dell’Agricoltura, che stanno giocando i certificatori, che sta giocando la stessa Federbio.

23 giugno

Egregio Dott. Carnemolla,

le scrivo a seguito del sua lettera al Direttore di Greenplanet.net in merito ai recenti sviluppi delle inchieste sulle frodi che hanno pesantemente colpito il sistema agroalimentare biologico italiano.

Lavoro professionalmente da oltre quindici anni allo sviluppo commerciale delle filiere zootecniche biologiche nazionali (principalmente lattiero-caseario), collaborando quotidianamente con alcune realtà italiane di produzione e trasformazione e con alcune delle principali reti di vendita specializzate europee.

Grazie allo stimolo determinante del Prof. Giorgio Nebbia, da qualche mese ho poi iniziato ad occuparmi delle frodi bio in Italia, lavoro all’inizio pensato (da me) come ‘accademico’ ma che inevitabilmente mi ha scaraventato verso l’attualità di questi giorni.

Devo dirle che la lettura del suo intervento durissimo nei confronti del Ministero delle Politiche Agricole Agroalimentari e Forestali lascia sconcertati.

A parte il “centurione” , gli intrighi di corte e gli assalti alla diligenza di cui io ammetto di non sapere nulla e se lei come Presidente di Federbio ci vuole dire qualcosa di importante allora che ce li dica tutti i fatti a sua conoscenza (senza omissioni su nomi, ruoli e fatti), è il quadro generale che ha dipinto che a mio modesto avviso risulta estremamente debole.

Lei in qualità di Presidente della principale rappresentanza istituzionale del biologico italiano scrive che trova ‘veramente inopportuno e ingeneroso […] attribuire ai soli difetti e limiti dell’attività di controllo esercitata dagli organismi autorizzati la responsabilità di un problema che sta, invece e anzitutto, in capo a un’Autorità pubblica che costa una quantità impressionante di denaro speso in stipendi altissimi di dirigenti ‘assenti’, consulenti e progetti d’informatizzazione meritevoli solo di indagini da parte della Corte dei Conti e che non svolge adeguatamente il proprio dovere’.

E’ certamente verificato (anche se ancora poco risaputo) che l’operazione Il Gatto con gli Stivali, vicende criminali a parte, ha dimostrato delle debolezze imbarazzanti del nostro sistema di controllo imperniato sull’attività degli Organismi di Controllo (ODC) privati, che sono estremamente importanti (sicuramente più dei produttori) nella organizzazione di rappresentanza del settore che Lei preside.

Ricordo le debolezze più eclatanti e tra loro collegate: possibilità di un operatore di assoggettarsi contemporaneamente a più ODC, assenza totale di scambio di informazioni tra ODC , perdita pressoché totale delle informazioni con il passaggio di un operatore (spesso fraudolento) da un ODC all’altro, gestione “creativa” dei piani annuali di produzione (PAP).

La sua concisa ricostruzione degli eventi espressa in un documento fatto circolare al convegno con le Autorità al Sana del settembre 2012 lascia ancora basiti e testimonia, a mio avviso, la responsabilità del sistema di controllo basato sugli ODC privati, non dell’Autorità pubblica:

“Tutti sapevano, molti si lamentano, nessuno denuncia, le carte sono in ordine”.

Fu proprio per le accennate debolezze di sistema di controllo ( e per gli aspetti criminali in sé, correttamente repressi dall’Autorità pubblica) che poco dopo i fatti fraudolenti, arrivarono all’Italia, nell’ambito del sistema EU-PILOT che precede l’eventuale avvio di una procedura d’infrazione, alcune richieste d’informazioni della Commissione Europea miranti ad accertare che le Autorità italiane prendessero provvedimenti volti a migliorare e rafforzare il sistema di controllo dell’agricoltura biologica per evitare il ripetersi di simili casi di frode.

A seguito della gravità della situazione e delle richieste d’informazione della Commissione Europea, il Mipaaf fin dall’inizio del 2012 è stato occupato un’intensa attività normativa sul biologico.

Data la confusione totale esistente fino al 2011 tra documenti di fondamentale importanza come le notifiche di avvio degli operatori biologici e quindi gli elenchi degli stessi, il 1/2/2012 è stato emanato il decreto n°2048 che ha istituito il Sistema Informativo Biologico (SIB) che utilizza l’infrastruttura del Sistema Informativo Agrario Nazionale (SIAN), sistema informativo pubblico collegato all’anagrafe tributaria a cui obbligatoriamente gli operatori biologici devono ora mandare la notifica.

A inizio maggio 2012 è poi stato emesso il D.M. n°10071 che come “misure urgenti” per il miglioramento del sistema di controllo del biologico ha previsto (finalmente!) l’obbligo per gli operatori ad assoggettarsi ad un unico organismo di controllo e stabilisce la procedura per il cambio di ODC.

Ad agosto 2012 il Mipaaf ha poi emanato due decreti: uno sulla gestione informatizzata dei programmi annuali di produzione (DM 18321 del 9/8/12) e uno sulla tracciabilità delle transazioni con Paesi terzi, istituendo un albo degli Importatori e richiedendo agli ODC ‘controlli frequenti e , se del caso, non preannunciati, anche presso la dogana di arrivo della partita’.

A novembre del 2012, a seguito di questa intensa attività di regolamentazione del Mipaaf, l’Europa ha archiviato la procedura d’infrazione contro l’Italia che però rimane ‘sorvegliata speciale’.

E’ una bella notizia di questi ultimi giorni l’istituzione da parte del Mipaaf di un codice doganale addizionale per la distinzione dei prodotti biologici in entrata da Paesi terzi.

Alla luce di tutto questo, mi sembra quindi che il Ministero della Politiche Agricole Agroalimentari e Forestali, a parte l’attività di controllo del suo Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione delle frodi (ICQRF), in questo caso sia intervenuto puntualmente e tempestivamente per “aumentare la trasparenza, rendere più efficiente il sistema di controllo per l’agricoltura biologica e ridurre il carico burocratico per gli operatori”, come dichiarò l’allora Ministro Mario Catania nell’ottobre del 2012, all’avvio dell’operatività del SIB.

Il suo intervento mi pare rivolto a tutelare, più che il prodotto biologico italiano e il lavoro degli operatori nazionali, il sistema di controllo privato che si è dimostrato incapace di auto-regolamentarsi internamente.

Il passaggio della gestione delle ‘carte’ all’Autorità pubblica sgrava inoltre gli operatori (produttori, trasformatori, distributori) di una parte del costo del sistema di controllo del biologico, correttamente visto la funzione sociale/pubblica dell’agricoltura biologica (tutela ambientale, benessere animale, sviluppo rurale) dichiarata nel Reg. 834/2007.

Certo io, da modesto venditore di formaggi biologici, non ho accesso ai fatti e alle dinamiche che conosce Lei in qualità di Presidente di Federbio. Certamente però come studioso e professionista del settore ho capito che Federbio, che lei rappresenta e che dovrebbe rappresentare tutto il biologico italiano, a seguito della vicenda delle frodi nel biologico ha orientato i suoi sforzi soprattutto allo sviluppo un sistema informatico volontario alternativo a quello ministeriale (il DATA BIO) e un complicato sistema informatico, completamente a carico degli operatori, che dovrebbe (il condizionale per queste cose è d’obbligo) gestire e controllare le compravendite a spot nel mercato dei cereali e dei mangimi, la FEDERBIO INTEGRITY PLATFORM, basata su una tecnologia e dei servizi forniti da un’azienda straniera.

Non era chiaro come questi costosi (per gli operatori) sistemi informatici di Federbio intendessero interfacciarsi al SIB: la lettura del suo intervento mi ha tolto ogni dubbio, mettendo in luce, secondo me, la debolezza della “road map” definita dall’attuale gruppo dirigente di Federbio.

Ma perché, le chiedo, invece di entrare in contrasto con l’Autorità pubblica sulla gestione informatizzata dei dati difendendo gli interessi di chi questi dati non ha saputo prima gestirli a tutela del settore, non è stato proposto di lavorare in modo “non virtuale” su queste filiere deboli con progetti concreti, nei campi, nelle stalle, nei magazzini, nei negozi?

Certo Federbio non ha tutte le risorse economiche e tecniche ma, proprio in quanto principale organizzazione di rappresentanza del settore, dovrebbe secondo me proporre al Ministero delle Politiche Agricole Agroalimentari e Forestali dei progetti di sviluppo di filiere biologiche, il più possibile locali, certamente corte e stabili, strategiche non solo l’integrità del prodotto bio ma per tutta l’Italia, pensiamo solo all’interesse che certi progetti potrebbero assumere durante l’Expo di Milano.

In paesi come la Francia, queste cose si generano anche dal lavoro con le istituzioni, attraverso la costituzione di rapporti di partenariato tra produttori, trasformatori, negozianti e consumatori. Si mettono le risorse e le competenze, si lavora anni e poi si controllano i risultati.

Alla luce di quanto Lei ha scritto, ripeto non a titolo personale ma proprio in qualità di Presidente di Federbio, però gli orizzonti si fanno foschi per il biologico italiano.

Ma a noi biologici, si sa, nonostante tutto piace il sole e quindi attendiamo speranzosi il tempo del cambiamento.

Cordialmente

Alberto Berton

25 giugno

Gentile Berton,

la ringrazio anzitutto per l’attenzione al mio intervento e l’articolazione della sua risposta, che mi consente di precisare meglio alcuni aspetti essenziali della situazione, che è effettivamente tanto paradossale per un Paese dell’Unione Europea da non apparire ai più nei termini e nella gravità in cui realmente è.

Soprattutto per coloro i quali non hanno vissuto direttamente tutto quanto accaduto a partire da inizio 2010, con un improvviso, ‘violento’ e mai motivato (pubblicamente) cambio di dirigente all’ufficio agricoltura biologica del MiPAAF. Ma si era appena realizzata una storica opera di semplificazione normativa di livello nazionale, si stava entrando nel pieno della spesa del Piano d’azione nazionale di settore (35 milioni di euro, sulla cui destinazione effettiva da anni chiediamo inutilmente ragione e dettagli) e, come abbiamo scoperto poi, stava anche iniziando la “fase 2” del Gatto con gli Stivali, ovvero quella tutta incentrata sulle importazioni dalla Romania e dai Paesi Terzi, queste ultime autorizzate direttamente dall’ufficio in questione del MiPAAF e certificate all’origine quasi esclusivamente da un solo organismo di controllo di fatto italiano.

Probabilmente coincidenze fortuite, tuttavia i fatti accaduti in seguito in qualunque altro Paese “normale” del pianeta avrebbero almeno determinato un’inchiesta amministrativa e un cambio al vertice di un ufficio a cui è affidato il ruolo delicato di Autorità competente nazionale di settore e la gestione, tutt’ora, di ingenti risorse e di programmi strategici per il futuro del biologico italiano. I fatti, in estrema sintesi, sono il mancato intervento quale Autorità competente nazionale di settore a seguito dell’informativa fatta dall’organismo di certificazione Suolo e Salute a gennaio 2011 (11 mesi prima degli arresti effettuati dalla GdF di Verona), la negazione di aver mai avuto queste notizie e la successiva ritrattazione della negazione, con annessa ricostruzione “di fantasia” dell’incontro informativo in questione. E poi il mancato intervento sulle accertate irregolarità delle autorizzazioni alle importazioni, le informazioni carenti o le ricostruzioni “opinabili” in merito alle autorizzazioni all’importazione e agli incontri con i colleghi moldavi, compresi i fatti che ora sono oggetto di indagine nell’ambito dell’operazione Green War, il mancato intervento sugli organismi di certificazione coinvolti (consapevolmente o meno), solo per citare le vicende più eclatanti.

Fatti che sono stati oggetto di esposti e interrogazioni parlamentari all’ex Ministro Catania, di lettere alla Presidenza del Consiglio e di una mia audizione in Commissione agricoltura al Senato (febbraio 2012, quando ancora non si conosceva tutta la verità documentata dei fatti) oltre che di inchieste giornalistiche e trasmissioni televisive. Con l’unico risultato che il ‘mobbing’ nei confronti del sottoscritto e della Federazione è diventato ‘palese’ e ormai sfacciato, costringendo il Consiglio Direttivo della Federazione a darmi mandato di rivolgersi alla Magistratura per chiederne l’intervento, sempre che la nuova inchiesta Green War e l’arrivo di un nuovo Ministro non determinino novità significative.

Il nostro intervento quale parte civile nel processo di Verona ancora non si è potuto infatti concretizzare nel dibattimento per i continui rinvii delle udienze così come non è stato ancora possibile completare il dossier sulle altre vicende per la difficoltà a raccogliere il necessario, in un sistema in cui le “convenienze” sono state certamente molte, anche se non tutte rilevanti sul piano giudiziario. Ma visto che siamo partiti da un editoriale che parlava di “biomafia”, direi che si può certamente parlare di “omertà” diffusa, nella maggioranza dei casi per banale calcolo di opportunità ma in alcuni casi ricompensata con rapporti privilegiati e corsie preferenziali nell’accesso alle risorse pubbliche del Piano d’azione nazionale di settore (provi lei a chiedere chi sono stati i beneficiari finali e non solo gli intermediari pubblici dei 35 milioni di euro del Piano in questione, magari sarà più fortunato di noi). Per i dettagli e la documentazione a supporto sono ovviamente disponibile a incontrare lei e il Prof Nebbia.

E veniamo al sistema di certificazione. Temo che la sua asserita esperienza nel settore quale consulente non le abbia tuttavia consentito di approfondire alcuni elementi essenziali di organizzazione e funzionamento del sistema. E’ noto che gli organismi di certificazione nel biologico, a differenza che negli altri sistemi regolamentati in capo al MiPAAF, sono più di uno e vengono scelti liberamente dalle imprese.

Non è del resto un caso che all’Autorità competente nazionale di settore sono attribuite anche competenze in materia di coordinamento e non solo di normazione e vigilanza e che la normativa europea di settore a partire dalla riforma del 2007 abbia chiaramente indicato fra gli elementi essenziali del sistema lo scambio di informazioni fra gli organismi di certificazione e fra questi e le Autorità competenti, che in Italia sono anche le Regioni.

In altri termini chi avrebbe dovuto accorgersi che al tempo della frode Gatto con gli Stivali la medesima azienda aveva notificato a più organismi di controllo erano le Regioni, a cui spetta la gestione degli elenchi regionali degli operatori, così come solo al MiPAAF spettava la concessione delle autorizzazioni alle importazioni da Paesi Terzi, che non sono state mai interrotte o ritirate quando anche l’ufficio competente era stato informato delle indagini in corso e delle evidenti incongruenze dei documenti ricevuti e delle procedure adottate. Analogamente, se l’ufficio competente del MiPAAF, pur informato per tempo della gravità e vastità della frode, decide di non allertare il sistema e non attivare alcun coordinamento con le Regioni interessate e gli organismi di certificazione è davvero difficile che questi ultimi possano agire tempestivamente e efficacemente.

Soprattutto se, pur inviando fin da settembre 2010 note formali al MiPAAF riguardo ai provvedimenti sanzionatori adottati a seguito della progressiva scoperta di certificati falsi grazie alla cooperazione fattiva con la GdF di Verona, gli organismi di certificazione non hanno visto alcun esito e alcun allerta di sistema. Anzi, in un documento diffuso dal Ministero a fine dicembre 2011 addirittura si è negato che queste comunicazioni fossero mai arrivate (e meno male che esistono i protocolli e le fotocopiatrici!). E’ certamente vero che se gli organismi di certificazione si fossero dotati per tempo di un sistema efficace di comunicazione fra loro e indipendente dall’Autorità competente nazionale di settore sarebbe stato possibile agire con maggiore tempestività e efficacia e minore confusione e danno per il sistema delle imprese, dato che già a fine 2010 FederBio aveva attivato un’unità di crisi e lanciato un allerta.

Ma quando dalla parte di chi dovrebbe intervenire il segnale che viene dato è l’inerzia e il silenzio totale, ovvero la deroga costante ai propri doveri d’ufficio e l’ostacolo verso qualsiasi iniziativa che sia della Federazione o proposta da questa, è assai arduo e bizzarro sperare che sia un sistema privato a scavalcare e supplire quello pubblico, soprattutto se quello privato è sotto costante ricatto.

Questo senza nulla togliere alle responsabilità personali di ex dirigenti infedeli di organismi di certificazioni o di proprietà degli stessi che sono già state punite o che sono oggetto di intervento della Magistratura anche con la più recente operazione Green War. E nemmeno alle notevoli pecche sul piano operativo che la vicenda Gatto con gli Stivali ha fatto emergere, solo in parte giustificate con la necessità per gli organismi di certificazione di spostare sempre più risorse e attenzione alla gestione burocratica del sistema di controllo, figlia anch’essa dell’incapacità del sistema pubblico di semplificare, innovare e coordinarsi.

Tuttavia, le chiedo, perché la sorveglianza attuata dal Ministero e dalle Regioni sull’operatività degli organismi di certificazione non ha rilevato tutte le criticità e non è intervenuta sanzionando con il ritiro dell’autorizzazione ministeriale, anche solo limitatamente a alcune Regioni o attività come pure consente la legislazione nazionale vigente? E tuttavia, come ricordato più sopra, il vero problema è la totale mancanza di mentalità, pianificazione, prassi e strumenti di coordinamento fra i diversi attori del sistema di certificazione, l’unico modo per rendere il sistema realmente efficace. Per fare questo non occorre alcun provvedimento normativo nuovo, bisogna solo mettere nei ruoli dirigenziali dell’Autorità competente nazionale persone capaci, oneste e con una mentalità adeguata al compito affidato e all’epoca in cui viviamo e lavoriamo.

Dunque confermo quanto ho scritto e detto in occasione del convegno FederBio a SANA 2012 e da lei correttamente ripreso, riportandolo tuttavia nel giusto contesto: il sistema commerciale sapeva e si lamentava ma non ha denunciato, il sistema pubblico ha saputo ma non è intervenuto, gli organismi di certificazione si sono accontentati che le carte fossero a posto. E nella Federazione se c’è una componente che non ha più nemmeno una Vicepresidenza e non ha alcuna maggioranza nel Consiglio Direttivo è proprio quella degli organismi di certificazione, come può verificare chiunque. E come sanno le altre componenti del settore biologico che fanno parte di FederBio e che da tempo pongono con sempre maggiore insistenza l’esigenza di una riforma anche radicale del sistema di certificazione.

Ben prima che l’Unione Europea avviasse la procedura EU Pilot tutte le organizzazioni di settore e a vocazioni generale e le Regioni presenti nel soppresso Comitato consultivo nazionale biologico hanno formalizzato al MiPAAF proposte concrete e dettagliate per il miglioramento del sistema di certificazione e da questo lavoro collettivo sono nati alcuni dei provvedimenti poi assunti dall’Autorità competente nazionale e da lei citati (evidentemente chi l’ha informata soffre di vuoti di memoria…).

Nulla di originale o di imposto al settore, quindi, al massimo atti dovuti e adottati con ritardo i cui contenuti e efficacia andrebbero piuttosto analizzati in maniera oggettiva e non propagandistica, come lei invece pare fare. A cominciare dal SIB, la cui comparsa nella prima stesura del Piano d’azione nazionale di settore (anno 2005) la si deve al sottoscritto. Magari qualcuno un giorno ci spiegherà come mai si è arrivati al Decreto in questione solo nel 2012 e perché anziché sviluppare uno dei diversi sistemi già operativi presso le Regioni si è impegnata una somma complessiva che supera il milione di euro per arrivare a creare un sistema la cui probabilità di rimanere incompiuto appare sempre più elevata, avendo però nel frattempo “incasinato” tutto il sistema di gestione dati del settore.

Ma quando si pretende di progettare senza coinvolgere direttamente e preventivamente gli unici conoscitori del sistema (gli organismi di certificazione e le Regioni), quando si pretende di imporre a un sistema privato già in difficoltà (i CAA) adempimenti e costi, quando non si crea una cabina di progetto condivisa nemmeno all’interno dello stesso Ministero e quando si affida la realizzazione del progetto a una società informatica su cui nel mentre il Ministero stesso avvia una commissione d’inchiesta cosa può mai sortirne? Soprattutto dove sono uno studio d’impatto e una pianificazione di contingenza e di medio periodo per la gestione della fase di passaggio al nuovo sistema e l’integrazione con i sistemi regionali e con quelli degli organismi di certificazione, oltre che un percorso legislativo che renda durevole il mantenimento del sistema con risorse pubbliche? Solo in un sistema come il nostro che è privo di strumenti di coordinamento e di lavoro efficaci (il SIB stesso, se mai funzionerà come dovrebbe) si può ritenere il DM sull’organismo di certificazione unico una salvezza, quando dovrebbe essere esattamente il contrario (più organismi controllano e meglio è).

E che dire di un Decreto su codici doganali nazionali entrato in vigore in un fine settimana senza che prima nessuno sapesse nulla (eppure quei codici li chiediamo da anni) e ancora prima che fossero rese disponibili le istruzioni per le imprese? Ma non siamo in Europa? E se un importatore italiano opera presso una dogana di un altro Stato membro che succede? Qualcuno si è minimamente preoccupato dei problemi operativi e dei costi a carico del sistema delle imprese o siamo di fronte all’ennesimo esempio di buoni propositi declinati alla “o la va o la spacca” sulla pelle e con i soldi dei contribuenti italiani?

Vedo che i suoi contatti l’hanno male informata anche sulle attività di FederBio dai tempi della vicenda Gatto con gli Stivali a oggi (oppure deve aver ‘studiato’ davvero poco e male), compreso per ciò che riguarda il progetto informatico che abbiamo avviato lo scorso aprile (FederBio Integrity Platform). Che è stato concepito per integrarsi con il SIB, quando questo sarà funzionante e completo, visto che sviluppa in autonomia solo la parte di tracciabilità e verifica delle quantità prodotte e commercializzate, che non fa parte del progetto SIB ma che, necessariamente, deve riguardare il corretto funzionamento del mercato e del sistema di certificazione per la parte che compete agli organismi di certificazione.

A FederBio è perfettamente chiaro come questo sistema informatico si può interfacciare con il SIB, temo non sia chiaro a lei cosa è esattamente e come viene gestito il SIB e quali sono le sue incognite di sviluppo. Motivo per il quale abbiamo deciso di procedere comunque anche sul versante del progetto realizzato da ACCREDIA per la gestione delle informazioni inerenti gli operatori certificati (Data Bio), che con costo irrisorio è già ora in grado di fornire al mercato e al sistema pubblico un data base affidabile che ha funzionalità non sviluppate dal SIB. Credo che la responsabilità del gruppo dirigente di FederBio sia quella di garantire strumenti efficaci di lavoro e di trasparenza al sistema anche qualora il progetto SIB non si dovesse completare, pronti agli adeguamenti e alle integrazioni possibili quando si comprenderà finalmente il destino del progetto informatico dell’ufficio agricoltura biologica del Ministero.

Il cui costo di sviluppo paragonato a un qualunque altro sistema simile rimane comunque uno scandalo che merita di essere indagato. FederBio è da tempo concretamente impegnata per la costruzione di relazioni e progetti di filiera in grado di consolidare e sviluppare il biologico italiano, in particolare nei comparti strategici quali l’ortofrutta, le colture cerealicole e proteiche, la zootecnia e le sementi. A differenza della Francia, però, il Ministero italiano non ha più un Piano d’azione nazionale di settore e ha un ufficio agricoltura biologica che non intende rapportarsi con l’unica associazione interprofessionale di settore e con chiunque non abbia un pensiero ‘omologato’.

Mi auguro dunque di averle fatto meglio comprendere quali sono gli ostacoli al dialogo e alla collaborazione fra FederBio e gli attuali occupanti di alcuni uffici del Ministero, soprattutto che siamo in presenza di una situazione bloccata perché nessuno fino a ora si è assunto la responsabilità di rimuovere chi ha responsabilità gravi e documentate nelle vicende accadute negli anni recenti e concepisce il proprio ruolo nell’Amministrazione come esercizio di potere e non di servizio alla comunità. Il sole arriverà ma bisogna conquistarselo con coraggio e determinazione, anche perché non abbiamo più molto tempo davanti per evitare i molti disastri che sono stati innescati negli ultimi anni. E mentre il biologico italiano rimane ostaggio di questa situazione si fanno avanti altri protagonisti del mercato globale e, in casa, della ‘sostenibilità’. Come ho scritto all’inizio è probabile che si sia di fronte solo a una incredibile e assai articolata sequenza casuale di coincidenze sfortunate, tuttavia mi pare ormai assai ingenuo credere si tratti solo di destino cinico e baro, al quale comunque non ci si può rassegnare.

Cordialmente

Paolo Carnemolla

26 giugno

Egregio dott. Carnemolla,

la ringrazio per la sua dettagliata risposta. Le tolgo innanzitutto ogni dubbio, assicurandola di non avere “informatori” o “contatti” e che tutto quanto ho scritto non ha finalità “propagandistiche” ma deriva solamente dalla mia personale ricerca di fatti e di notizie utili a farmi comprendere l’attuale situazione critica del biologico italiano seguita alle vicende delle frodi.

I comunicati stampa della Guardia di Finanza, dell’ICQRF, di Federbio, la lettura diretta dei Decreti Ministeriali, le informazioni della stampa nazionale, regionale e di settore, sono state le mie uniche fonti.

Non ho ‘studiato poco e male’: ho solo sacrificato molto tempo per questo lavoro, non ho la presunzione di essere arrivato ad alcuna verità se non quella (di cui prima di questo lavoro non ero consapevole) che la vicenda delle frodi ha avuto e soprattutto sta avendo un’influenza fondamentale nello sviluppo del sistema agro-alimentare biologico italiano. Al riguardo devo dirle che dalla lettura delle fonti succitate il fenomeno delle frodi bio mi pare sia stato invece sottovalutato da Federbio.

Le ricordo la sua lettera a Repubblica in replica alle inchieste sul business del falso-bio siciliano datata 22 settembre 2011 (un paio di mesi prima dello scoppio del Gatto con gli Stivali): “Fenomeno limitato [alla Sicilia] No alle generalizzazioni”.

Ma le ricordo soprattutto che a dicembre del 2011, Roberto Pinton, il Presidente di Assobio, l’Associazione nazionale delle imprese di trasformazione e distribuzione di prodotto biologici e naturali, altro asse portante di Federbio, a seguito dell’operazione Gatto con gli Stivali intervenne sostenendo che si trattava “più [di] frode fiscale che frode bio”, idea che poi si è radicata molto tra tanti operatori del settore. Certamente avrete agito in buona fede per rasserenare “i mercati”, ma data la situazione estremamente critica proprio di quel periodo che ha descritto, forse avreste fatto meglio a denunciare le debolezze del sistema invece di assumere anche voi un comportamento “omertoso” a arrivare oggi a dire “non abbiamo più molto tempo davanti per evitare i molti disastri che sono stati innescati negli ultimi anni.”

Del resto noi operatori del biologico, e soprattutto noi consumatori del biologico, non siamo bambini da tranquillizzare a cui deve essere nascosta la dura realtà dei fatti, e noi Italiani di “cupole” ne sappiamo qualcosa, anche qui al Nord purtroppo, non solo in Sicilia. Vengo al sistema di certificazione. Nonostante io per fortuna (data la mia personale inclinazione) non mi occupi di “carte” (ma di prodotti, produttori e negozi) conosco l’organizzazione del sistema di controllo, ma mi interessa solo parzialmente sapere che ci sono state delle negligenze e carenze da parte del Ministero e delle Regioni.

Quello che da professionista del biologico mi ha prima sorpreso e poi profondamente indignato è sapere che chi all’interno di questo mondo è pagato per vigilare sulla correttezza dei comportamenti e sull’integrità dei prodotti, pur conoscendo le debolezze del sistema, si è accontentato che le carte “quadrassero”, e se una volta quadrate si moltiplicavano tanto meglio, anche a rischio di rendere il sistema “reale” estremamente fragile. E’ per questo che ho molto apprezzato il Decreto Ministeriale che obbliga all’assoggettamento ad un unico operatore.

Da quanto mi risulta e da quanto scrive, non mi sembra proprio che il gruppo dirigente di Federbio sia stato in passato e sia tuttora del mio stesso avviso. Non sono affatto d’accordo con lei quando scrive ‘più organismi controllano e meglio è’. Trovo inutile qualsiasi argomentazione al riguardo, dopo quanto è accaduto.

Strumenti di coordinamento e di lavoro efficaci, oltre che nelle Istituzioni pubbliche, sono mancati anche all’interno di Federbio.

Penso ad esempio alla “Sezione Soci Organismi di Certificazione” di Federbio, che raggruppa ben 9 dei 12 ODC accreditati per il biologico e che come obiettivo prioritario ha “il miglioramento del servizio di certificazione a favore delle imprese del settore biologico al fine di assicurare il mercato circa l’affidabilità e la credibilità delle produzioni biologiche”

Io non so perché la sorveglianza attuata dal Ministero e dalle Regioni sull’operatività degli organismi di certificazione non ha rilevato tutte le criticità e non è intervenuta sanzionando con il ritiro dell’autorizzazione ministeriale, ma lei dovrebbe dirmi perché su queste criticità non si è intervenuti all’interno di Federbio.

Per accorgersi che ci erano operatori assoggettati a più ODC, non è necessario un complicato sistema informatico, ma condividere qualche foglio di excel e un po’ di pazienza.

Quando poi scrive “il sistema commerciale sapeva” a chi si riferisce? A chi vendeva cereali e materie prime per i mangimi? Ai distributori nazionali di prodotti biologici? Alla grande distribuzione? La prego di specificare meglio perché le assicuro , facendone parte anch’io del sistema commerciale (non solo perché lo asserisco ma perché porto risultati alle aziende ripeto da oltre 15 anni), che la maggior parte degli operatori che si occupano di vendita era ed è in gran parte all’oscuro di queste debolezze tecniche del sistema. O i negozianti indipendenti ad esempio, per lei, non meritano di essere considerati nel sistema commerciale?

Per quanto riguarda i sistemi informatici, il SIB coma sa non è una realtà indipendente ma si appoggia sul SIAN, che nel bene e nel male rappresenta il Sistema Informativo Agricolo Nazionale. A parte tutti i difetti che un sistema informatico di questo tipo può avere, il fatto che questo sistema sia collegato all’anagrafe tributaria mi rassicura in quanto le indagini sulle frodi sono spesso partite proprio da indagini della Guardia di Finanza.

Lei certamente conosce meglio di me gli aspetti tecnici dei sistemi informatici a cui state lavorando, ma quando le comunico le mie perplessità sull’interfacciamento dei sistemi informativi di Federbio con quelli pubblici mi riferisco soprattutto all’ormai evidente frattura più personale che tecnica esistente tra Federbio e il Ministero: data la sua lettera a Greenplanet e la sua riposta alla mia lettera non mi sembra che ci siano grandi spazi di dialogo…o mi sbaglio?

Per quanto riguarda la costruzione da parte di Federbio di progetti di filiera nazionali non mi risultano risultati degni di nota. Sul sito della sua federazione, del resto, in “attività e progetti”, la sezione “Bioreg-I distretti biologici” parla di un progetto (promosso e finanziato dal Ministero) e indica un sito di approfondimento www.distrettibiologici.it che semplicemente non è più valido.

Del resto mi sembra che il grosso delle vostre attività ( e quindi delle risorse) rivolte allo sviluppo del biologico, sia stata indirizzata principalmente all’internazionalizzazione e alcuni dei vostri responsabili più importanti come Roberto Pinton abbiano da più parti promosso l’idea che quello che veramente conta sia il ‘come’ e non il ‘dove’ è prodotto un alimento biologico. Oltre al fatto che il caso delle frodi bio dimostra in maniera eclatante che il ‘dove’ è importante quanto il ‘come’, è anche per le ragioni che stanno dietro al concetto di “sostenibilità” a cui lei accenna parlando di possibili “concorrenti” che la provenienza il più possibile locale e comunque certa dei prodotti è oggi un elemento imprescindibile della qualità ecologica degli stessi.

Se questo chi rappresenta il biologico non lo capisce sarà sempre più evidente la frattura esistente tra le aspettative dei consumatori e dei produttori sensibili alle problematiche ‘bio-economiche’ e i prodotti genericamente ‘biologici’.

Cordialmente

Alberto Berton

26 giugno

Gentile Berton,

più leggo di quello che scrive e più mi convinco che lei è male informato e direi anche male abituato, visto che è sua abitudine decontestualizzare affermazioni e prese di posizione come è uso fare chi di mestiere fa il polemista piuttosto che lo ‘studioso’.

Mentre noi cercavamo di gestire una comunicazione in emergenza, del tutto privi di informazioni da fonte pubblica (è toccato a FederBio dare le prime informazioni al mercato e all’Europa sul Gatto con gli Stivali), c’era chi al Ministero negava addirittura di aver mai saputo e letto nulla.

Prendo atto che a lei non interessa quello che fa l’Amministrazione pubblica, nonostante venga pagata con le tasse delle imprese e dei cittadini (comprese le sue) e abbia precisi obblighi di legge, fra cui quello di intervenire quando gli organismi di certificazione segnalano non conformità e provvedimenti sanzionatori, potendo utilizzare strumenti e poteri che non sono dati agli organismi di certificazione e, meno che mai, a FederBio. Anche per questo è decisamente ‘sospetto’ il suo atteggiamento così come è bizzarro che lei sia molto più interessato a quello che fa un’associazione ‘non governativa’ come FederBio, come se i nostri strumenti e la nostra capacità d’intervento fossero superiori e indipendenti da quelli delle Autorità competenti. Sarebbe bello e forse anche utile, vista la situazione, ma il sottoscritto è stato persino querelato da un Direttore generale del MiPAAF e minacciato fisicamente in pubblico da un Capo Dipartimento per aver cercato di spingere il sistema verso comportamenti ‘autonomi’ e responsabili.

Ciò detto e come pubblicamente ribadito anche nel convegno a SANA dello scorso anno, è fuori discussione che si doveva sapere e fare di più anzitutto come “sistema FederBio”, che tuttavia rimane l’unico soggetto che si è assunto l’onere di denunciare anche pubblicamente certi comportamenti, di costituirsi parte civile e di aver avviato una dura e rischiosa battaglia contro i delinquenti, ovunque siano: fra le imprese, negli organismi di certificazione o nell’Amministrazione pubblica. E l’organismo di certificazione Biozoo è stato cacciato dalla Federazione anni fa, senza che questo però comportasse alcuna conseguenza rispetto al suo operare anche all’estero nell’ambito di un contesto criminale vista l’inerzia di chi doveva intervenire dal versante autorizzazione ministeriale, mentre per quanto riguarda Suolo e Salute è invia di conclusione un duro e serrato confronto che ha consentito di modificare sostanzialmente l’organigramma e i comportamenti, con ancora sospesa l’ipotesi di esclusione dalla Federazione. Ogni suggerimento o supporto per fare ancora di più e meglio è sempre per noi utile e benvenuto, tuttavia non ne vedo traccia nei suoi scritti. Perché?

Quanto parlo di sistema commerciale mi riferisco ovviamente al comparto oggetto della frode, dunque cereali e granaglie principalmente per alimentazione zootecnica, dove alcuni erano evidentemente criminali o complici più o meno passivi e tanti altri, onesti e vittime, non hanno avuto il coraggio di denunciare e in alcuni casi hanno anche preferito abbandonare il campo. Proprio perché non hanno creduto al tempo nella possibilità di utilizzare anche la Federazione come strumento di garanzia e trasparenza, forse perché mal consigliati o poco informati se non disillusi dai comportamenti dell’Amministrazione pubblica fino a che non è finalmente scesa in campo la Magistratura.

Per quanto riguarda il SIB le ribadisco che non sono in discussione l’idea progettuale e i suoi vantaggi, ci sono sistemi regionali attivi da anni sulla medesima impostazione che, a differenza del SIB, funzionano bene. Per quanto riguarda il dialogo noi abbiamo anche di recente ribadito formalmente una richiesta di incontro ma non abbiamo mai avuto risposta, a conferma che la gestione del progetto è “chiusa” dal lato Ministero, non dal nostro.

Riguardo alle nostre attività sulle filiere mi riferivo ai protocolli che abbiamo attivato sull’ortofrutta da anni e a quello che sta partendo su cereali e proteiche, non certo ai bio distretti. A me risulta che lei attualmente opera nel campo della vendita di distributori di alimenti bio a libero servizio quindi capisco perché non ne sa nulla. Per il resto metto in cc anche Pinton, visto che lei lo cita più volte e forse è bene che lui replichi di suo.

Infine la informo che il mio mandato scade fra due anni ma è a disposizione anche subito, se ci sono persone più preparate, giovani e capaci del sottoscritto…dunque la invito caldamente a concretizzare una proposta alternativa di politiche associative e gruppo dirigente per una nuova FederBio, affinchè dallo scambio evidentemente inutile di lettere si passi a qualcosa di potenzialmente più utile per tutti, ovvero per il miglior futuro del biologico italiano.

Paolo Carnemolla

26 giugno

Lo stesso giorno lo scambio epistolare continua con una contro-replica di Berton ma, a questo punto, non vorremmo essere noi di GreenPlanet a fomentare una polemica che appare chiara nei suoi punti essenziali ma che rischia di scivolare su aspetti più di forma che di sostanza.

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