Marca, in assenza di SANA, è l’occasione per riflettere sull’andamento del biologico ed in particolare della sua domanda interna, visto il ruolo sempre più incisivo della Distribuzione Moderna (MD). Quanto emerso
negli incontri organizzati a Marca sono tematiche che spesso abbiamo sollevato nei nostri commenti nel corso dell’ultimo anno.
Innanzitutto un po’ di luce. Nel corso del 2024 il biologico confezionato nella DM è cresciuto a valore del 4,5% ed in quantità del 4,6% a fronte di incrementi registrati nel complesso dell’alimentare rispettivamente dell’1,7% e dell’1%. L’incidenza sul totale dell’alimentare è stato del 2,8%. Il marchio del distributore (MDD) ha trainato l’incremento considerando che nello stesso periodo ha raggiunto il 51,4% delle vendite (46,6% secondo TEHA) con un + 4,3% a valore e 5,2% a volume. Analizzando il comparto nel suo complesso, Nomisma ha censito nel 2023 un volume d’affari pari a 9,11 miliardi di Euro, di cui 3,641 in export, facendo registrare, a valore, + 9% della domanda interna e +8% in export portando il settore al 4% del totale alimentare.
Purtroppo permangono alcune ombre che non consentono al settore di aumentare l’incidenza sull’intero comparto agroalimentare oltre il 3-4% che da troppo tempo caratterizza la domanda interna e questo nonostante il driver della sostenibilità ed il peso distributivo della DM. Negli ultimi 12 mesi sono poche le nuove referenze e non si ha notizia di nuovi investimenti, lo afferma anche la ricerca di Nielsen con il blocco delle referenze nei canali super-iper-LS ed un arretramento del 2,9% per i discount. La stessa ricerca mette in evidenza come l’incidenza del biologico sul mercato alimentare sia direttamente correlato
con il numero di referenze. I fornitori italiani, di conseguenza, crescono molto più sul mercato estero, in Francia e Germania (quest’ultima registra 3 volte il giro d’affari dell’Italia), ove riescono a realizzare quotazioni ben superiori al mercato interno, nonostante il rapporto medio fra i prezzi di vendita bio e convenzionali permanga a 140 (+40% del bio sul convenzionale).
L’MDD non fa altro che comprimere questo delta di prezzo poiché, come emerso dalla presentazione di apertura della fiera, la private label ha dal 2020 al 2024 favorito un risparmio
cumulato di 19,8 miliardi di euro per circa 150 Euro/famiglia e nello stesso periodo come siano aumentati i prodotti di primo prezzo (+8,3%) e quelli premium (+0,5%). Sarebbe interessante capire chi ha
maggiormente beneficiato dal risparmio offerto dalla MDD visto che le materie prime agricole biologiche hanno avuto prezzi di poco superiori al convenzionale.
Non certo la produzione agricola che alle ormai note difficoltà (cambiamento climatico, impazzimento burocratico, aumento dei costi dei mezzi tecnici, ecc) deve tenere conto di un mercato interno poco redditizio con l’effetto di deprimere anche il più ottimista dei produttori biologici.
“Oltre il biologico”, quindi, come proposto nel titolo del convegno di Assobio? Vista la scarsa incidenza del settore è preferibile rimanere “nel” settore e non andare “oltre”. Ce lo rammenta anche la presentazione di Nomisma che ha indagato sul comportamento d’acquisto del consumatore italiano evidenziandone per alcuni aspetti lo stato confusionale e la necessità di far comprendere meglio cosa sia il biologico.
Per il 40% dei consumatori le informazioni in etichetta sono confuse ed il 39% non comprende quale sia la caratteristica più determinante per comprendere come è sostenibile il prodotto: infatti origine/provenienza
ed imballaggi totalizzano insieme il 59% delle risposte dei consumatori quando sono chiamati a valutare la sostenibilità di un prodotto dalle informazioni presenti in etichetta. Ciò testimonia, come più volte da noi
ribadito, che il biologico deve comunicare la propria sostenibilità intrinseca nel processo produttivo attraverso misurazioni oggettive e comunicabili al fine di confermare la propria superiorità rispetto a comunicazioni che sembrano promuovere in materia di sostenibilità qualsiasi prodotto e processo. Si veda l’esempio del “residuo zero” in cui il 67% dei consumatori pensa non vengano utilizzati prodotti fitosanitari (!!) e che sia disciplinato in ambito europeo, analoga % di consumatori pensa che il biologico sia un prodotto a “residuo zero” mentre solo il 54% ritiene che il bio offra maggiori garanzie. Il “residuo zero” è un prodotto convenzionale che garantisce la presenza di residui <0,01 ppm (parti per milione o mg/kg) per ogni sostanza attiva, né più né meno.
Il modello di sostenibilità che la DM odierna offre al consumatore confonde il biologico nella miriade di prodotti, presentati come sostenibili in virtù di una riduzione degli imballaggi, dei consumi energetici, della certificazione di parità di genere, dello spreco o di altri comportamenti, sia chiaro, virtuosi ma che non “raccontano” l’approccio alla sostenibilità dei prodotti biologici, multidisciplinare e olistico ovvero tale da corrispondere alla maggior parte degli SDG’s (obiettivi di sostenibilità) fissati in sede ONU. Ciò lo si desume anche da quanto viene prevalentemente richiesto ai fornitori di MDD; nella presentazione TEHA il 17% delle
risposte si riferisce agli imballaggi riciclabili/riutilizzabili, solo il 4% alla riduzione dello spreco, il 32% il rispetto di standard qualitativi di sicurezza e in medesima % la rintracciabilità/trasparenza. Caratteristiche queste del tutto compatibili con comportamenti in cui la sostenibilità non è per nulla determinante. Forse è necessario impegnarsi maggiormente nella ricerca e nella definizione della sostenibilità dei prodotti e meno nella redazione dei bilanci di sostenibilità.
Fabrizio Piva