È tempo di Green Claim, a norma di legge e certificati

Bonini e Uva

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Che la valenza ambientale sia uno dei valori che il metodo biologico porta con sé è un dato di fatto, come comunicarlo correttamente, senza indurre i consumatori in errore e a norma di legge è tutt’altra faccenda.

Progetto Scelta 2024, un’indagine sui consumatori condotta da CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) insieme Sum lab, Istituto di Management Scuola Superiore S. Anna, dimostra come per la maggior parte dei cittadini le affermazioni di carattere ambientali sull’etichetta di un prodotto diano fiducia, siano considerate affidabili e credibili e abbiano hanno anche un effettuo persuasivo, anche se non c’è influenza diretta sulle scelte di acquisto. Un’etichetta ambientale su un imballaggio ispira fiducia anche sul prodotto contenuto, non solo sul packaging stesso. Di contro, i consumatori pensano che la maggior parte delle aziende diano informazioni ambientali poco chiare e verificabili sui propri prodotti.

Bisogna quindi stare attenti nel veicolare i contenuti ambientali – afferma Donata Gammino, di CONAI – per evitare fraintendimenti, che possono essere tantissimi”.

Data l’importanza della corretta comunicazione ambientale, per tutelare da un lato il consumatore, dall’altra le aziende più trasparenti nelle loro comunicazione, l’Europa sta adottando due proposte legislative che danno delle indicazioni per contrastare greenwashing.

La prima è la Direttiva 2024/825/UE. Già approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale, dovrà essere recepita dagli Stati membri entro marzo 2026 e dovrà venire applicata entro settembre dello stesso anno. La seconda è la proposta di Direttiva Green Claim, adottata in prima lettura il 12 marzo scorso, ma al momento ancora in fase di discussione. Entrambe le norme fanno riferimento alle dichiarazioni volontarie, non quindi quelle obbligatorie relative al materiale di cui è composto l’imballaggio e alle indicazioni sul riciclo.

C’è tempo per adeguarsi a quanto richiesto dalle due norme, ma è bene cominciare a muoversi sulle novità introdotte dalla Direttiva 825, per essere pronti con una comunicazione corretta entro un paio d’anni. Questa Direttiva, infatti, modifica due norme già in vigore, precisando meglio le questioni relative alle asserzioni ambientali. Si tratta della Direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali e della Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori.

“La direttiva – spiega Bianca Bonini, dello Studio Legale Avvocati per l’impresa (a sinistra nella foto di apertura) – introduce nuove regole per le asserzioni ambientali, che devono essere sempre supportate da prove documentate e basarsi su certificazioni riconosciute. I claim comparativi dovranno confrontare prodotti con la medesima funzione e analizzare caratteristiche rilevanti e verificabili”.

La norma precisa 4 pratiche che saranno vietate a partire da settembre 2026. La prima è l’uso di marchi non basati su schemi di certificazione o non stabiliti da autorità pubbliche, come il marchio EMAS o Ecolabel. La seconda è l’adozione di asserzione ambientali generiche non dimostrabili (verde, eco, green….). La terza è attribuire a un prodotto nel suo complesso delle caratteristiche che riguardano solo una parte di esso, per esempio non sarà ammesso dichiarare che un prodotto è sostenibile, solo perché il suo pack è riciclabile. La quarta è affermare che un prodotto ha un impatto neutro o positivo sull’ambiente, solo sulla base di compensazioni delle emissioni di gas serra, se sono al di fuori della catena del valore del prodotto. Per esempio una riforestazione in Estremo Oriente, non può essere utilizzata per dichiarare che un prodotto italiano ha un impatto neutro.

La proposta di Direttiva sui Green Claim proseguirà sul cammino tracciato dalla Direttiva 825.

“In attesa che le due norme entrino in vigore – afferma Teodora Uva, dello  Studio Legale Avvocati per l’impresa (a destra nella foto di apertura) – è possibile dare alle aziende alcuni suggerimenti. Evitare asserzioni vaghe, generiche e fuorvianti; prestare attenzione alla comunicazione comparativa; non utilizzare asserzioni non verificabili; disporre di metodi di valutazione affidabili e completi, che portino a risultati affidabili; conservare la documentazione su cui si fonda l’asserzione in modo che possa essere messa a disposizione delle autorità”.

Va detto che il biologico gode già oggi di un forte vissuto positivo in termini ambientali, riconosciuto anche dalla giurisprudenza italiana. “C’è stata una pronuncia in merito qualche anno fa da parte dello IAP, Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria – afferma l’avvocata Uva – secondo cui l’espressione Buona per ambiente perché biologica riferita a un prodotto bio, può essere considerata legittima in virtù delle norme che disciplinano il metodo biologico. Questo dimostra come ci sia un principio di apertura consolidato verso il bio, ma consiglio lo stesso di specificare sempre bene quello che si sta comunicando”.

Per aiutare le aziende che vogliono comunicare correttamente i claim ambientali dei propri prodotti, CONAI ha già messo a disposizione delle Linee Guida che si basano sulla Direttiva 825 e che verranno attualizzate con quella sui Green Claim, quando verrà approvata.

Elena Consonni

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