Si è conclusa giovedì 28 giugno a Bruxelles la sesta edizione della Bee Week, la settimana europea dedicata all’insetto impollinatore per antonomasia, dal 2012 celebrata con l’obiettivo di sensibilizzare cittadini, ricerca e mondo della produzione al problema della mortalità delle colonie di api. Una questione seria, che nel Vecchio Continente ha cancellato circa il 20% degli alveari per l’equivalente di 13 milioni di colonie in meno rispetto al fabbisogno di un’adeguata impollinazione delle colture.
Secondo Greenpeace – da anni impegnata su questo fronte con il progetto ‘Salvamo le api’ – a livello globale il valore delle colture dipendenti da impollinazione naturale ammonta a circa 265 miliardi di euro; un beneficio che potrebbe andare in fumo poiché, come denunciato dalla FAO, senza api operaie ben 70 delle principali 100 colture del pianeta scomparirebbero dalle nostre tavole. Niente più agrumi, né fragole, meloni, albicocche, pesche e susine, mele, pere, ciliegie, kiwi e castagne solo per citarne alcune; ma nemmeno pomodori, cetrioli, ravanelli, asparagi, carote, aglio, cipolle e così via. E il quadro appare oltremodo grave se si considera che ad essere in pericolo sono tutti insetti impollinatori, compresi bombi, farfalle, falene e silfidi da cui dipende l’84% delle 264 specie coltivate nell’UE.
‘L’industrializzazione del sistema agricolo rischia di trasformare la nostra campagna in un deserto alimentare – ha dichiarato a ‘Repubblica’ Francesco Sottile, docente all’Università di Palermo -. I campi di mais in Piemonte, i territori del Prosecco in Veneto, la Pianura padana degli allevamenti intensivi di bovini, le monocolture di nocciole in provincia di Viterbo sono tutte aree colpite dalla moria degli insetti: per le api affamate di polline e nettare queste zone sono come un deserto’.
Fortunatamente le possibili soluzioni per arginare il problema non mancano e sono sempre più le persone impegnate in questa battaglia. Ne è esempio il progetto ‘Bee the future’ di Eataly, Slow Food, Università di Palermo e Arcoiris (azienda sementiera esclusivamente biologica), che si propone di invertire tale fenomeno attraverso la semina di fiori e piante utili alla bottinatura delle api e, contemporaneamente, alla fertilità del terreno; l’obiettivo è generare un sistema virtuoso di ‘agroecologia’ all’insegna della sostenibilità.
‘Il miscuglio di semi italiani bio che abbiamo messo a punto – ha spiegato Antonio Lo Fiego di Arcoiris – è composto da dieci piante: grano saraceno, trifoglio alessandrino, coriandolo, facelia, lino, senape, sulla, rucola, girasole, trifoglio incarnato. Sono piante adattabili a diversi ambienti perché vogliamo convincere quanti più agricoltori possibile a ripristinare un angolo di biodiversità nelle proprie aziende’.
Chiara Brandi