Russia, Giappone e Canada fuori da Kyoto

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Il protocollo siglato nel 1997 a Kyoto, in Giappone, per il controllo delle emissioni di gas serra da parte dei Paesi sviluppati, che scadeva quest’anno, è stato prorogato fino al 2020. L’accordo è stato raggiunto sabato 8 dicembre a Doha, capitale del Qatar, tra poco meno di 200 Paesi favorevoli ad applicare misure che frenino i cambiamenti climatici.

Paesi importanti produttori industriali come Canada, Giappone e Russia (oltre alla Nuova Zelanda) hanno sospeso la loro adesione, dopo che era stata bocciata la loro richiesta di limiti meno stringenti, dando tuttavia la disponibilità a riesaminare la loro posizione nel 2015. Gli USA erano e sono rimasti fuori.

Il protocollo di Kyoto è l’unico patto tra governi per la lotta contro il surriscaldamento globale. Esso è tuttavia un compromesso, riduttivo rispetto alle richieste della comunità scientifica tese a scongiurare le tragedie climatiche sempre più frequenti (ondate di caldo incessante, tempeste violente, inondazioni, trombe d’aria, siccità devastanti e l’aumento costante dei livelli del mare).

Quanto sta accadendo nel nostro pianeta è sempre più chiaro: le emissioni di gas in atmosfera prodotte dall’attività umana sono l’origine di un surriscaldamento globale che, a partire dalla più alta temperatura dell’enorme massa d’acqua degli oceani, crea sconvolgimenti nel clima ovvero fenomeni più violenti come per esempio gli uragani.

Il cosiddetto Doha Climate Gateway, ovvero la decisione sul pacchetto di aiuti ai Paesi in via di sviluppo perchè potessero affrontare le conseguenze derivanti dal cambiamento climatico, è stato rinviato. E questo perché la crisi economica in atto in tutti i Paesi avanzati, a partire dall’Europa, rende difficile la disponibilità di risorse finanziarie aggiuntive.

La vera partita è un’intesa più globale – sostengono gli esperti -, altrimenti i benefici saranno irrisori perché l’atteggiamento virtuoso di Europa, Australia e altri non è purtroppo sufficiente. ‘Il bicchiere di Doha è per tre quarti vuoto e per un quarto pieno: anche la crisi ha pesato’, è il commento del ministro dell’Ambiente Corrado Clini. ‘Abbiamo evitato di far crollare il processo del negoziato, ora bisogna trovare la maniera di imprimere un’accelerazione’.

‘L’Italia deve fare la sua parte’, commenta Mauro Albrizio di Legambiente, ‘rivedendo la Strategia energetica nazionale che invece di puntare decisamente sulla riduzione del consumo di fonti fossili propone un rilancio della produzione di idrocarburi nazionali, individuando invece per l’efficienza energetica e per le fonti rinnovabili strumenti del tutto inadeguati’.

 

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