L’ormai imminente pubblicazione della nuova norma ISO/IEC 17065, che sostituirà l’attuale ISO 65 (in Europa declinata come UNI CEI EN 45011), ci da l’occasione per riflettere ancora una volta sul significato della certificazione e sul ruolo che la stessa può avere per il miglioramento della qualità dei prodotti, degli scambi commerciali e, in definitiva, delle condizioni economiche di un Paese.
Si tratta della norma che sul piano internazionale fissa i requisiti che devono possedere gli organismi che intendono certificare prodotti, processi e servizi; è, quindi, la norma di riferimento in base alla quale opera CCPB nei vari settori di competenza, dal biologico all’integrato, dal globalgap alla rintracciabilità di filiera passando per i settori no food, quali la cosmesi e il tessile.
La bozza di norma non può fare altro che riaffermare il concetto di un servizio, quale quello di certificazione, teso a verificare la presenza di requisiti di prodotto, processo o servizio secondo quanto prescritto e contemplato dalle norme di riferimento. Un filo diretto con la qualità, ovvero con quegli aspetti e con quei requisiti che sono oggetto di comunicazione al mercato e che il consumatore desidera trovare nei prodotti o nei servizi che acquista, La certificazione, quindi, come servizio al mercato ed alla collettività intesa come tutte le parti interessate da un processo per giungere fino al consumatore, parte essenziale nel riconoscere il ruolo della certificazione.
Proprio quel consumatore che in tutte le ricerche di mercato e nei sondaggi attribuisce alla certificazione il ruolo insostituibile della garanzia; quel consumatore-cittadino che nel contempo è soggetto ed oggetto di tutte quelle norme di legge, fra cui i regolamenti comunitari dei prodotti biologici e dei prodotti tipici, che hanno posto la certificazione e l’accreditamento degli organismi quali punti di riferimento per conferire garanzia di qualità ai processi ed ai prodotti medesimi.
Nei Paesi ad economia avanzata la certificazione è ormai elemento imprescindibile per il miglioramento della qualità e della competitività delle produzioni e dei processi produttivi che ne sono alla base. Tutto ciò si trasforma in competitività di un sistema-Paese rispetto ad altri sistemi, in maggiore garanzia per un mercato sempre più globale che usa la certificazione come garanzia di soddisfacimento delle proprie richieste e come discriminante per scegliere un prodotto piuttosto che un altro.
Si tratta di un concetto non sempre ben compreso né dalle aziende, né tantomeno da molta parte delle Autorità Pubbliche che, in molti casi, vedono negli organismi di certificazione dei competitor o dei loro "sottoposti".
Le aziende hanno in molti casi subito la certificazione come un’imposizione o una "conditio sine qua non" per entrare o rimanere in alcuni mercati: la certificazione deve essere una scelta responsabile e deve essere "facilitata" anche per le piccole e medi imprese che non sempre sono nelle condizioni di sopportarne gli oneri organizzativi ed il mantenimento. Le Pubbliche Amministrazioni non hanno ancora compreso come la certificazione sia un elemento di maggior trasparenza ed operi nel mercato secondo la logica della sussidiarietà senza alcuna confusione fra sfera privata (la certificazione) e sfera pubblica (controllo e vigilanza).
Da questa confusione nasce anche la supposta e sbagliata concezione che quando gli organismi di certificazione operano privatamente nell’ambito di norme cogenti siano in qualche modo incaricati di pubblico servizio ed operino "alle strette dipendenze" dell’Autorità di turno. Il modo migliore per non sfruttare con pienezza le sinergie e le utilità del sistema di certificazione e non agevolarne il ruolo per il miglioramento delle condizioni economiche di un Paese come il nostro.
Dal nostro punto di vista, la strada da percorrere per la piena comprensione del significato della certificazione è ancora lunga e finchè non l’avremo percorsa non potremo goderne dei vantaggi competitivi.
Fabrizio Piva
Amministratore delegato CCPB