Nei giorni scorsi la nostra testata ha pubblicato una lunga intervista a Roberto Pinton, membro del Board IFOAM Organics Europe, a cura di Antonio Compagnoni, dell’organismo di certificazione CSQA International Relations Organic Production. Si tratta di un’interessante chiacchierata per fare il punto sullo stato dell’arte e le normative in merito alle contaminazioni da pesticidi dei prodotti bio.
Riportiamo qui l’intervista integrale a Roberto Pinton.
– 15.6 milioni di ettari a conduzione biologica nell’Unione europea nel 2021, circondati da 145 milioni di ettari a conduzione convenzionale su cui sono state usate 300mila tonnellate di pesticidi. Dura la vita degli agricoltori biologici per schivare le contaminazioni indesiderate…
Sì, e in alcuni Paesi ancora più che in altri. Basti pensare che l’Italia, che rappresenta meno del 9% della superficie agricola della UE, consuma da sola 122mila tonnellate di fitosanitari, il 40% del totale.
Ovviamente dipende anche dall’orientamento produttivo: nei pascoli irlandesi e nei campi ad avena della Finlandia si usano meno fitofarmaci che nelle produzioni ortofrutticole e viticole dell’Europa meridionale.
In parte questo deriva anche dalla diversa sensibilità pubblica e dalla diversa cultura del mondo produttivo ma anche dallo strabismo della politica: in Francia stanziano 215 milioni di EUR di aiuti per le aziende che rinunciano al glifosato, in Italia si premiamo con i pagamenti agro- climatici ambientali della PAC le aziende che lo usano…
È assodato che con i trattamenti fitosanitari si registrano perdite a terra dal 30% al 60%, che poi ruscellano o percolano nelle acque; la deriva sopra la coltivazione va dal 4% al 6%, quella fuori appezzamento dal 10% al 15%. La contaminazione accidentale, anche a distanza di tempo dal trattamento, non è quindi un fenomeno eccezionale.
– Secondo l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale la presenza di pesticidi nelle nostre acque è massiccia…
Sì, siamo messi male. Secondo l’ultimo Rapporto dell’ISPRA, nel 2019/2020 si sono trovati residui di fitosanitari nel 55,1% delle acque superficiali e nel 23,3% di quelle sotterranee.
Nelle regioni settentrionali la presenza è più elevata della media nazionale: arriva a interessare due terzi delle acque superficiali e un terzo delle sotterranee.
Il 30.5% delle acque superficiali ha concentrazioni superiori ai limiti ambientali (in particolare per erbicidi e fungicidi), ma la situazione è grave anche in quelle sotterranee, dove tra le sostanze che superano i limiti ci sono anche insetticidi.
Se il consorzio di bonifica, che dovrebbe garantirti acque di buona qualità, te le fornisce (a pagamento!) contaminate, non è che puoi inventarti chissà che misure preventive.
– Qualcuno potrebbe chiedersi se in un ambiente del genere è davvero possibile fare produzione biologica…
L’approccio va rovesciato: in un ambiente del genere è assolutamente necessario fare produzione biologica. Se intendi bonificare acque contaminate, la prima cosa da fare è smettere di utilizzare sostanze che le contaminano. Ma per ricondurre alla normalità il bene pubblico acqua, è necessario incentivare gli agricoltori a adottare pratiche davvero sostenibili, non premiare chi usa sostanze già presenti oltre i limiti di qualità ambientale.
– Nonostante la situazione poco rosea che descrive, il Ministero e la Commissione pretendono che gli agricoltori biologici garantiscano il residuo zero…
I calcoli non sono complicati: se l’agricoltura italiana consuma 122mila tonnellate all’anno di prodotti fitosanitari, ogni italiano ha in dote 2 kg di sostanze, di cui tra 1.000 e 1.700 grammi vanno fuori bersaglio e contaminano l’ambiente. Il che sta a dire che per ogni ipotetica famiglia di due adulti e due bambini sono in ballo da 4 kg a 6,8 kg di sostanze nei suoli, nell’acqua e nell’aria.
Pretendere che i produttori biologici garantiscano nei loro prodotti l’assenza di residui, con limite di quantificazione 0.01 parti per milione per sostanze di cui una famiglia ha una dote di 6,8 kg (680 milioni di volte in più), è del tutto irragionevole.
Il principio di ragionevolezza è un parametro di legittimità delle leggi; quindi, prevedere sanzioni a loro carico è del tutto inadeguato e incongruente.
Con una situazione del genere (di cui certamente i responsabili non sono gli agricoltori biologici, ma le autorità competenti che hanno autorizzato e continuano a autorizzare sostanze che superano i limiti di qualità ambientale della risorsa acqua (perdipiù premiando chi le utilizza) è irrazionale la pretesa che i produttori biologici evitino contaminazioni …inevitabili.
Il reg. UE n.848/2018 non prevede tra i requisiti degli operatori la capacità di realizzare miracoli eliminando con una bacchetta magica i residui di pesticidi dall’acqua o dall’aria.
Pretendere che gli agricoltori biologici dribblino le contaminazioni ambientali provocate dai loro colleghi convenzionali cozza con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che vieta qualsiasi forma di discriminazione, pretende che sia garantito il diritto a un trattamento imparziale ed equo entro un termine ragionevole e che ogni imputato sia considerato innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata provata.
La direttiva 2006/125/CE dà per assodato che alcuni antiparassitari degradano lentamente, contaminano l’ambiente e possono condurre a residui nei prodotti agricoli pur non essendo stati utilizzati.
Il reg. n. 396/2005 stabilisce che un prodotto convenzionale non debba contenere residui superiori a 0,01 ppm, ma per alcuni principi attivi stabilisce soglie diverse; per esempio, per il DDT il LMR è di 0.05 ppm.
Un prodotto convenzionale che presenti 0.04 ppm di DDT, che non si usa da 50 anni, è a norma, mentre secondo l’idea che covano i servizi della Commissione, un prodotto biologico con tracce di questa sostanza sotto 0.01 ppm, manifestamente da contaminazione ambientale, va considerato sospetto e ne va bloccata la commercializzazione.
Ciò è chiaramente contro la costituzione europea (ma è contro anche la nostra), dato che tratta lo stesso evento e gli operatori in modo diverso.
Più di un regolamento europeo qualifica la contaminazione ambientale come tecnicamente inevitabile: ogni norma che pretenda che un operatore eviti l’inevitabile devia dai principi generali di correttezza, buona fede e diligenza che devono orientare l’azione legislativa. Atti diversi, e ci metto anche il nostro DM 309/2011, sono illogici, irragionevoli e danno vita alla presunzione di un operato scorretto dell’amministrazione.
– Vogliamo parlare dei fosfonati?
Sono un caso di scuola. Lo studio di Nader, Zahm e Jaschik appena pubblicato conclude che quando si rilevi la presenza di fosfonati (che da un lato sono ubiquitari, dall’altro sono meno nocivi del sale da tavola) non ha senso avviare un’indagine sugli input aziendali: si spreca solo tempo, va sviluppata una procedura più flessibile e mirata.
La banca dati Eurofins ci dice che il 97,3% di tutti i campioni di funghi biologici presentava fosfonati, con una media di 0,045 mg/kg.
Vorrei capire qual è il senso di un’applicazione deliberata di un fungicida sistemico nella produzione di funghi.
In Germania è risultato positivo ai fosfonati il 97.5% dei campioni di vino biologico, l’88% dei legumi, l’85% della frutta, l’82% degli pseudocereali, l’82% della frutta secca e così via. È palese che si tratta di una contaminazione massiccia di fondo, contro la quale non esistono misure.
L’autorità competente non ha alternative: o dichiara che la quasi totalità dei produttori biologici imbroglia (o, quantomeno, è incapace di adottare misure precauzionali, visti i risultati) e che il sistema di controllo è un colabrodo, oppure prende atto della situazione, lasciando per prima cosa indenni i produttori biologici dalle conseguenze di comportamenti altrui e adottando urgentemente misure idonee alla riduzione del rischio.
Anche da noi l’indagine BioFosf del CREA ha accertato che la presenza di acido fosfonico è del tutto involontaria e tecnicamente inevitabile (contaminazione ambientale, contaminazione dei fertilizzanti pur dichiarati conformi dal ministero, uso legittimo precedente).
L’indagine è partita nel 2016 sulla base di una criticità pre-esistente, ma il decreto ministeriale che, preso atto dei risultati, ha modificato la soglia di de-certificazione dei prodotti è del luglio 2020: nei quattro anni tra avvio dell’indagine e la pubblicazione del DM sono state contestate non conformità a centinaia di operatori innocenti, con de-certificazione e distruzione di tonnellate e tonnellate di prodotti ottenuti in piena conformità alla normativa europea, con danni enormi che nessuno si pone il problema di indennizzare.
Quanto accaduto per l’acido fosfonico può accadere per altri principi attivi; la prospettiva di essere soggetti per anni (prima della tardiva presa d’atto ufficiale dell’inevitabilità della presenza di sostanze non volute) al rischio della de-certificazione dell’intera produzione certamente non contribuisce a orientare gli operatori verso la conversione biologica, così ostacolando il conseguimento degli obiettivi della strategia Farm to Fork.
Fonte: CSQA